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Vi racconto tutte le delusioni del Piccolo Timoniere, Matteo Renzi

Nei disegni del Piccolo Timoniere il conte Paolo Gentiloni Silverj avrebbe dovuto svolgere il compito affidato al re Travicello, piovuto in mezzo alle rane che pretendevano da Zeus un sovrano che mettesse ordine nello stagno. Poi, vista l’inutilità dell’operazione e l’inadeguatezza  di un pezzo di legno al comando, sarebbe venuto (nel nostro caso ritornato) il momento del serpente. Come si sa, il diavolo insegna a fare le pentole, ma non i coperchi. Travicello si è rivelato un sovrano vero, apprezzato dalle rane (anche da quelle degli altri stagni). Le cose cominciano a migliorare. E il serpente rischia di rimanere disoccupato.

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Al Piccolo Timoniere un’altra delusione la sta dando l’inquilino del Colle. Quando Sergio Mattarella varcò la soglia del Quirinale, molti, tra cui il sottoscritto, pensarono che sarebbe stato manovrato da Matteo Renzi a cui doveva l’elezione ai vertici delle istituzioni repubblicane. Invece, le cose sono andate diversamente. Mattarella si sta rivelando un Capo dello Stato rispettoso del suo ruolo, ma autonomo nelle decisioni, quasi sempre giuste e corrette, che assume. È lui il vero argine contro il dilagare del populismo a cui prestano orecchio un po’ tutte le forze politiche.

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Strage di Barcellona: d’ora in avanti la parola Ramblas verrà usata come sinonimo di cimitero.

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Insisto. All’improvviso la Libia si rivela in condizione di mettere in mare una flotta (con marinai armati fino ai denti) con il compito di ostacolare un traffico di vite umane, attraverso il Canale di Sicilia, reso più sicuro dalla consapevolezza di imbattersi, prima o poi, in una nave di soccorso (delle Ong o militare) che ai profughi andava appositamente incontro. Non è chiaro il motivo di un cambiamento di linea di condotta da parte delle autorità libiche che si è rivelato più semplice del classico “uovo di Colombo”.

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La pausa (temporanea?) negli sbarchi non cambia la natura del problema. L’immigrazione è un fenomeno inevitabile (perché è sospinto dagli squilibri demografici e dalle differenze nelle condizioni di vita) e indispensabile (perché è diventato, nei Paesi sviluppati, un passaggio obbligato sul versante del mercato del lavoro). L’immigrazione è l’altra faccia della globalizzazione; non ci può essere l’una senza l’altra e viceversa. Chi crede che la globalizzazione sia un processo complessivamente positivo deve necessariamente essere disposto a convivere con l’immigrazione. Non a caso i sovranisti contrastano ambedue i processi. Il futuro dell’Italia, invece, è ineluttabilmente, quello di una società multietnica e multirazziale, nella quale (ecco l’imperativo della convivenza) va trovato un equilibrio di valori attraverso la disponibilità a cambiare e ad integrarsi di coloro che vengono e l’apertura ad accettare i “diversi da noi”, da parte di chi riceve. Il vettore più potente dell’integrazione è il lavoro.

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Il senatore Antonio Razzi mi ha invitato, via twitter, ad accompagnarlo in una visita in Nord Corea, garantendo che, al rientro (se ci sarà), le mie “punture” saranno “meno noiose” (non si capisce l’uso dell’avverbio “inavvertitamente”). Ne sono sicuro. In quel Paese le manifestazioni oceaniche, gli applausi scroscianti ed incessanti (con le mani ben in alto perché si vedano), l’aria da Ciccio Bombo del giovane dittatore produrrebbero effetti esilaranti per un occidentale scafato come il sottoscritto. Il fatto è che non è bello ridere delle tragedie dell’umanità.

 

 

 

 



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