In marcia, via da Emmanuel Macron. Proprio nelle ore in cui si propone come federatore del Recovery Fund franco-tedesco con Angela Merkel, il suo partito En Marche (Lrem) perde la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale.
Dieci parlamentari hanno detto addio al presidente abbracciando un nuovo gruppo, Eds (Ecologia democrazia e solidarietà). Il motivo? Credevano di far parte di un governo “centrista”, si ritrovano a convivere con un governo “conservatore”. Così Lrem passa da 295 a 285 parlamentari, quattro in meno di quelli che servono per la maggioranza assoluta. Il governo avrà comunque numeri solidi a Palazzo Borbone. Ci sono i 46 parlamentari di MoDem di François Bayrou, che ora diventano baricentro dell’esecutivo e avranno ben altro peso sull’agenda, assieme a una manciata di parlamentari centristi.
Il danno d’immagine per En Marche e il suo fondatore, però, è innegabile. Anche perché si tratta dell’ennesima defezione. Nel giugno del 2017, alle elezioni legislative, il partito aveva 314 deputati. Da quel momento la lenta emorragia non si è fermata.
Nel nuovo gruppo ci sono nomi di peso, anche fra gli ex marcheurs. Come Matthieu Orphelin, braccio destro di Nicolas Hulot, l’ex ministro dell’Ecologia che ha lasciato il governo in protesta nel 2018. O ancora due front-runners dell’ala sinistra del partito come Aurélien Taché o Cédric Villani. Con loro l’ex ministro socialista dell’Ecologia Delphine Batho.
Si vociferava da settimane di malpancisti interni alla formazione macroniana, ma la formazione del gruppo è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Macron, ad esempio, ha saputo dell’adieu di Taché da una sua intervista al giornale Jdd. Il nuovo gruppo non sarà “né con la maggioranza né con l’opposizione”, fa sapere in un comunicato.
Per Macron è comunque un colpo basso. Un sondaggio di Le Figaro rivela che il 72,8% dei francesi crede che il presidente ne uscirà “indebolito”. “Impatterà l’immagine del leader Macron in un momento in cui cerca di accreditarsi come figura unitaria in mezzo alla crisi sanitaria – spiega a Le Parisien Bruno Cautrès della Sciences Po di Parigi – è un momento che inciderà sugli animi”.
Dopo settimane passate a minimizzare, ora anche i fedelissimi del presidente fanno trapelare preoccupazione. Così il ministro delle Finanze Bruno Le Maire punta il dito contro chi ha voluto riaprire “la divisione destra-sinistra che noi e il popolo francese ci eravamo lasciati alle spalle nel 2017”.
La congiuntura non aiuta l’inquilino dell’Eliseo. I sondaggi lo vedono in rialzo rispetto al crollo di popolarità di un anno fa, quando era alle prese con i Gilet Jaunes, ma non gli sorridono di certo: solo il 35% dei francesi, riporta l’Express, approva l’operato del governo nella gestione della pandemia, che in Francia ha consegnato un conto fra i più salati, con 28.000 morti.
Né l’allentamento della quarantena sembra aver sollevato gli animi. Il primo giorno della Fase 2 francese ha visto già la prima, piccola ma significativa manifestazione: 250 persone in piazza, a Ile Saint-Denis, contro la “brutalità della polizia”. Unico sollievo (si fa per dire): la quarantena ha rimandato le elezioni amministrative, compreso il secondo round delle comunali a Parigi, che al primo hanno visto trionfare la sindaca Anne Hidalgo, con il candidato macroniano solo al terzo posto.