Lo special counsel incaricato dal dipartimento di Stato per indagare “ogni tipo” di rapporto tra il comitato elettorale di Trump e la Russia – l’ambito è l’indagine su eventuali collusioni – ha deciso di ricorrere a un Grand Jury. La notizia è stata anticipata due giorni fa dal Wall Street Journal e dal punto di vista tecnico non è niente di inatteso: questo genere di indagini, negli Stati Uniti, finiscono facilmente davanti a un Grand Jury, che è una giuria popolare più ampia e con poteri più ampi e in grado di accusare formalmente gli imputati. Dal punto di vista politico ha invece un significato evidente: Robert Mueller ha qualcosa per le mani, tale da decidere di andare avanti nell’indagine, e questo per Donald Trump è un problema.
Inoltre, ricorrere a un istituto terzo è una tutela per Mueller, che contemporaneamente allontana da sé i sospetti sobillati dal team legale di Trump, che sta cercando di portare alla luce scheletri nell’armadio dei suoi uomini; e in più arrocca la sua posizione, rendendo la sciagurata ipotesi di farlo fuori dal ruolo più complicata.
Il Grand Jury è l’inizio di una nuova fase, ma al momento non ci sono ancora nomi. È comunque molto probabile che alla fine, dovessero esserci capi di accusa, condanne o rinvii a giudizio, questi riguarderebbero aspetti di carattere fiscale-finanziario, su cui Muller potrebbe aver già scoperto link strani tra gli uomini di Trump e la Russia.
Mueller ha ricevuto dal dipartimento inviolabili poteri, ma la sua mossa è di quelle che mandano su tutte le furie il presidente. Trump nei giorni scorsi aveva attaccato il segretario alla Giustiza Jeff Sessions per essersi ricusato dal caso (è, pare lateralmente, coinvolto) e aver così aperto la strade verso il procuratore speciale. Venerdì Sessions ha provato a mettere una pezza nell’erosione dei rapporti con la Casa Bianca e ritrovare quel feeling che aveva contraddistinto le relazioni con Trump fin dagli inizi dell’avventura elettorale. Sessions in conferenza stampa ha annunciato che il dipartimento che dirige sta lavorando duramente per individuare i leaker che spifferano informazioni alla stampa, di aver aperto il triplo di indagini rispetto agli stessi periodi passati, e rivolgendosi ai funzionari dalla bocca larga ha detto minaccioso “Do not do it“.
La caccia ai leaker piace al presidente, è un pallino di Trump visto che la sua amministrazione è stata fin da subito un colabrodo, con funzionari ansiosi di trasferire tutto ciò che poteva essere scabroso, piccante, imbarazzante, ai media. Il presidente, tra le accuse a Sessions, aveva alzato anche questa: è troppo debole sulle fughe di notizie. La stretta serve a recuperare un po’ di fiducia e forse renderà il Grand Jury più digeribile per Trump.
(Foto: White House Photo)