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Pensioni, tutte le idee del governo su giovani e assegni

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È presto per tirare delle conclusioni sul confronto tra governo e sindacati sul tema delle pensioni. Al di là delle dichiarazioni laconiche ed un po’ esoteriche del ministro del Lavoro Giuliano Poletti (in foto), Marco Leonardi – che fa parte del pool di Palazzo Chigi – ha assicurato che c’è ancora tempo per riflettere. Del resto, da quanto è emerso dalle parole dei leader confederali, le organizzazioni sindacali sono più interessate a bloccare il collegamento automatico all’attesa di vita per i prossimi pensionati, piuttosto che trovare soluzioni per i giovani, che saranno pensionati in un domani ancora lontano.

Anche in questa occasione l’Italia si rivela un paese innamorato delle pensioni al punto da preoccuparsi di tutelare i giovani di oggi per quando saranno anziani piuttosto che consentire loro di provvedere a se stessi lavorando. Ma di questo si parlerà quando verrà l’ora delle misure choc annunciate, a più voci, dal governo – un assegno mensile minimo di 600-620 euro a coloro ai quali la pensione verrà calcolata interamente con il sistema contributivo e che andranno in pensione a 63 anni e 7 mesi.

Quanto agli strumenti di garanzia per le pensioni delle giovani generazioni, l’idea sarebbe quella di lavorare, con il bisturi, intorno a quanto prevede la riforma Fornero per coloro a cui è applicato interamente il sistema contributivo (ovvero coloro che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1° gennaio 1996). Attualmente le regole stabiliscono che questi soggetti potranno andare in quiescenza di vecchiaia all’età di volta in volta prevista purché il loro assegno sia almeno pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale (ovvero a circa 750 euro mensili lordi). La proposta in discussione riguarda una riduzione del parametro ad 1,2 e un miglioramento della possibilità di cumulo tra pensione e assegno sociale (dal 33 per cento al 50 per cento). Pertanto i 600-700 euro di pensione di cui si parla non sarebbero una garanzia, ma il risultato ipotizzabile in conseguenza di queste modifiche.

Per quanto riguarda invece la pensione anticipata dei lavoratori interamente nel calcolo contributivo, le norme vigenti consentono di ritirarsi a 63 anni (più l’adeguamento) facendo valere 20 anni di contributi, purché la pensione percepita sia almeno pari a 2,8 volte l’ammontare dell’assegno sociale (1.500 euro lodi mensili circa). I sindacati – abbacinati da un’età pensionabile più ridotta – puntano le loro carte su di una consistente riduzione del parametro, senza rendersi conto che in tal modo maltrattano un altro obiettivo – oltre alla sostenibilità – che dovrebbe essere garantito da un sistema pensionistico equilibrato: l’adeguatezza dei trattamenti.

(estratto di un articolo più ampio pubblicato sul Foglio)



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