Un funzionario di Polizia in servizio in un Paese democratico è tenuto a ripristinare l’ordine pubblico senza violare – nella misura del possibile – i diritti (e la sicurezza) di coloro che manifestano. Ma anche il più corretto dei funzionari è un essere umano, che si trova investito di enormi responsabilità. Può quindi capitare che nel corso di una carica di alleggerimento, dopo aver assistito ad atti di guerriglia urbana e al lancio di oggetti contundenti (tanto che la Procura indaga per tentato omicidio), al funzionario scappi qualche parola frutto della concitazione di quel momento, non solo detta, ma anche percepita dal suo personale come un gesto di reazione e non come un ordine, tanto che non risulta che qualcuno abbia lamentato la frattura di un braccio. In attesa che venga spiegato come e perché sia stata diffusa la registrazione di quell’episodio, avremmo gradito una maggiore comprensione per quel funzionario – che in fondo stava facendo il suo dovere – da parte di quanti sono insorti a biasimarlo e a chiedere dimissioni a destra e a manca. La nostra non è la Polizia del loro beniamino: il venezuelano Maduro. In quello sventurato Paese non perdono tempo a rompere le braccia. Sparano per uccidere.
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Si è ricordato in questi giorni che è trascorso un anno dal terremoto che ha distrutto l’Italia centrale seminando morte e devastazione. È stato notato – senza troppi commenti – che tutto questo tempo è servito per concedere l’appalto per la rimozione delle macerie. È in questi casi che emerge drammaticamente come la retorica della corruzione abbia tarpato del tutto le ali ad una burocrazia di per sé inefficiente, imponendo procedure barocche, improntate alla (sub)cultura del sospetto e del pregiudizio nell’assegnazione degli appalti.