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Trump ottiene nuove sanzioni Onu contro la Corea del Nord (e pensa alla Cina)

“Ho appena finito una telefonata con il presidente Moon”, ha scritto su Twitter domenica il presidente americano Donald Trump, e parlava di una conversazione con l’omologo Moon Jae-in, che, dice l’americano, era “molto contento e impressionato dal 15-0” con cui gli Stati Uniti hanno ottenuto, sabato 5 agosto, l’avallo completo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per alzare nuove sanzioni contro la Corea del Nord. La misura punitiva è strettamente legata all’ultimo test missilistico di Pyongyang, ma è una delle mosse strategiche con cui Washington intende contenere la minaccia nordcoreana. È “il più grande singolo pacchetto di sanzioni economiche” contro il Nord, aggiunge Trump in un altro tweet, con cui cerca anche di sottolineare che le sue azioni sono diverse, quanto meno più dure, di quelle dell’amministrazione precedente. Sottolineatura necessaria perché, al netto della propaganda aggressiva che le accompagna, sembrano del tutto simili, anche se il capo del Consiglio di Sicurezza nazionale HR McMaster ha dichiarato, sempre domenica, che gli Stati Uniti sono pronti a tutto contro Kim Jong-un. “La nostra reazione sarà mille volte più grande”, ha minacciato la Corea del Nord dopo la decisione dell’Onu.

IL VOTO ALL’ONU

Le nuove sanzioni hanno l’obiettivo di contrarre di due terzi le esportazioni nordcoreane (settori colpiti: carbone, ferro, minerali del ferro, piombo e frutti di mare) e di vietare le collaborazioni e gli investimenti stranieri con il governo e le aziende nordcoreane – “Infrangono la nostra sovranità” è il commento di Pyongyang. A presentare le nove pagine di risoluzione all’Onu è stata Nikki Haley, ambasciatrice americana al Palazzo di Vetro: sono soltanto le ultime in ordine cronologico di una serie di misure che da anni colpisco Pyongyang, ma hanno ricevuto parecchia attenzione perché la Cina le ha approvate dopo mesi di ritrosie. Il voto unanime (anche la Russia ha appoggiato la proposta americana) è interessante perché Pechino viene considerato il protettore diplomatico dei nordcoreani: un cordone ombelicale lega i due paesi, la Cina considera il Nord come un controllabile cuscinetto di separazione contro la Corea del Sud occidentalizzata (anche negli armamenti); il Nord non può prescindere la propria sopravvivenza dalla Cina, unico grande mercato internazionale che gli dà apertura.

LE RELAZIONI PECHINO-WASHINGTON

Anche se la stessa Haley ha detto che “non bisogna illudersi di aver risolto il problema”, le nuove sanzioni sono, intanto, una vittoria diplomatica per gli Stati Uniti, e spiegano anche perché venerdì della scorsa settimana l’amministrazione Trump ha fatto slittare l’annuncio di nuove misure per colpire il furto di proprietà intellettuale da parte dei cinesi. Doveva essere uno dei tasselli del contenimento commerciale trumpiano contro Pechino, ma è stato rimandato, forse perché s’era arrivati a chiudere sul voto favorevole alle azioni contro il Nord. Washington non può prescindere dalla Cina per contenere quella che considera la maggiore minaccia internazionale alla propria sicurezza, e per questo il dossier si intreccia con l’altro che riguarda la costruzione delle relazioni sino-americane nell’era Trump. Queste relazioni sono caratterizzate da un atteggiamento ondivago: la Cina era considera da Trump un nemico, poi il suo presidente è diventato un “ottimo amico”, poi ancora è cambiato in un elemento ambiguo che gioca dietro a Kim. E la strategia americana sulla Cina segue queste oscillazioni.

COSA VUOLE LA CINA

“Avremmo più chance di coinvolgere i cinesi sull’affare nucleare nordcoreano se prima facessimo con loro un accordo su quel che seguirà l’eventuale collasso del regime” ha detto una decina di giorni fa Henry Kissinger, “l’uomo che ha progettato l’apertura delle relazioni diplomatiche dell’America con la Cina” come lo descrive il New York Times; l’ex segretario di Stato è piuttosto ascoltato e rispettato da Trump. Pechino vuole in effetti aver chiaro il futuro. Sempre domenica, a Manila (dove è in corso il summit sulla sicurezza regionale dell’area ASEAN) il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato la controparte nordcoreana: prima del vertice il cenese aveva sottolineato che le misure sanzionatorie era una risposta giusta alle azioni di Pyongyang in violazione delle regole che l’Onu gli ha imposto, ma che è necessario altrettanto ripristinare i colloqui a sei sospesi nel 2008 (i sei sono: Cina, Stati Uniti , Corea del Sud, Corea del Nord, Giappone e Russia). Wang Yi ha inoltre calcato la linea del doppio congelamento: il Nord blocca la sua corsa atomica, il Sud smette la collaborazione militare con gli Stati Uniti. Commentando le nuove sanzioni, Susan Thornton, assistente del segretario di Stato americano per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, ha già detto che la cooperazione tra statunitensi e sudcoreani andrà avanti.



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