Leggo che il collega Alessandro Di Battista dice che in qualsiasi altro Paese il governo si sarebbe dimesso per il caso Regeni. Non lo so, è una teoria tutta da verificare. L’unica cosa che so per certo è che in qualsiasi altro Paese Alessandro Di Battista non sarebbe membro del Parlamento.
Il governo italiano ha fatto le scelte giuste: subito dopo la tragedia di Giulio Regeni richiamando l’ambasciatore e ora, dopo 16 mesi, rimandandolo, affiancato da un investigatore, con la mission precisa di non abbassare affatto la pretesa di avere tutta la verità, anzi proprio per accertarla. Le dietrologie e i complottismi non mi appassionano e non mi appartengono, e neppure pretendo di diventare uno dei tanti che sul caso Regeni pontificano giorno e notte. Certamente non posso non osservare come, a livello internazionale, esistano coincidenze piuttosto sospette che fanno prendere in considerazione l’idea di interessi internazionali forti contro il nostro Paese.
All’indomani della decisione del governo di rimandare l’ambasciatore Cantini al Cairo, vi è stato ampio consenso del mondo politico italiano. Persino il Movimento 5 Stelle appariva in difficoltà nel trovare argomenti di critica. Ebbene, prontamente arriva l’articolo del New York Times a destabilizzare nuovamente il fronte italiano, ipotizzando scenari fantasiosi. Un articolo, peraltro assai chiaro nei suoi contenuti e per nulla nuovo nelle ipotesi fatte, che tuttavia ha consentito di ridare fiato a quanti, a partire dallo stesso Movimento, hanno sempre e comunque interesse a denigrare l’operato del governo.
Allora viene da domandarsi se, per caso, non sia vero il sospetto che la stabilizzazione dei rapporti tra Italia e Egitto, non dia un gran fastidio a una serie di interlocutori internazionali. E proprio su questo occorrerebbe avviare una riflessione.
Quanto è accaduto a Giulio Regeni sarebbe potuto accadere e potrebbe accadere a qualunque altro giovane di nazionalità diversa da quella italiana. Allora la comunità internazionale si dovrebbe stringere attorno all’Italia e fare una battaglia comune per l’accertamento della verità.
Abbiamo assistito, all’inizio di questa triste vicenda, a numerose manifestazioni di solidarietà da parte di altri Paesi. Tuttavia, ora la cosa sembra andata nel dimenticatoio. È tempo di ripartire con una pressione politica e diplomatica su tutta la comunità occidentale, a cominciare dai Paesi europei, per costringere l’Egitto a fare definitiva chiarezza.
Chi dovrebbe essere in prima linea con il nostro Paese è proprio il Regno Unito. Giulio Regeni era cittadino d’Europa, di fatto residente in Inghilterra e mandato al Cairo dalla prestigiosissima Università di Cambridge. Come mai oggi il Regno Unito non è al fianco del nostro Paese in quella che è anzitutto una battaglia a difesa della libertà e della dignità di tutti, valori che hanno fatto della civiltà inglese uno dei punti di riferimento della democrazia nel mondo? E come mai questo strano rifiuto della stessa Università di Cambridge di fornire le informazioni richieste dagli investigatori? Ci scandalizziamo, giustamente, del silenzio e delle omissioni degli egiziani, ma forse anche nella nostra comunità occidentale ci sono responsabilità che vanno accertate.
È indispensabile tornare a chiamare a raccolta tutti i Paesi, nel nostro e nel loro interesse, esplorando tutte le possibilità politiche e giuridiche (compresa la convenzione internazionale contro la tortura) per arrivare alla verità.
Questo dovrebbe ricominciare con una iniziativa forte nelle sedi parlamentari internazionali, a partire dal Parlamento europeo. Personalmente, poco più di un anno fa, in un incontro difficile e teso con il generale Al-Sisi, guidando una delegazione dell’Assemblea parlamentare della Nato, ebbi dai colleghi di altri Paesi dell’Alleanza la piena solidarietà, espressa con parole chiare e inequivocabili: la tragedia di Giulio Regeni non può essere ridotta a una questione bilaterale tra Italia e l’Egitto, perché è un problema che interessa l’intera comunità internazionale. Da qui secondo me bisogna ricominciare, non accontentandosi di solidarietà di facciata ma pretendendo, nell’interesse dell’intero occidente, che la verità emerga finalmente. Questo anche per dovere nei confronti della famiglia di Giulio Regeni, che si è sempre comportata con grande dignità e coerenza, e che non merita certo di essere circondata da personaggi che la vogliono strumentalizzare per altri scopi.
A loro, e a tutti i cittadini italiani e del mondo, l’Egitto deve risposte definitive e chiare. Questo è il compito difficilissimo che attende l’ambasciatore Cantini e l’intera diplomazia italiana. Compito che dovrebbe, per una volta, vedere uno sforzo comune di tutta la politica italiana. Fantascienza? Forse, ma sperare è sempre lecito.