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Che cosa celano gli screzi fra Iran e Stati Uniti

“Se gli Stati Uniti dovessero imporci nuove sanzioni noi potremmo uscire dall’accordo in poche ore”, ha detto il neo-ri-eletto presidente iraniano Hassan Rouhani a proposito dell’accordo che nel luglio 2015 Teheran ha firmato con uno speciale organismo internazionale — il 5+1, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu più la Germania — accettando di congelare il proprio programma nucleare militare.

LE NUOVE SANZIONI

Il nuclear deal prevedeva che in cambio dello stop alla corsa all’Atomica, la Repubblica islamica avrebbe ottenuto lo sblocco di quasi cento miliardi di asset economico-finanziari e commerciali bloccati da Onu, Usa e Ue; un mezzo per convincere Teheran. Poche settimane fa gli Stati Uniti hanno votato al Congresso, in maniera bipartisan, un pacchetto di nuove sanzioni contro l’Iran (incluso in un disegno di legge che prevede stesse misure contro Russia e Corea del Nord).

COSA NON PIACE A WASHINGTON

Il motivo della reiterazione americana sta in due comportamenti di Teheran considerati non tollerabili da Washington. Primo, ufficiale, le ricerche tecnologiche che gli scienziati iraniani stanno continuando sulla produzione in proprio di missili balistici intercontinentali (che in futuro potrebbero diventare vettori per testate atomiche, una volta scaduti i termini del deal e permettere a Teheran di non aver perso troppo tempo nella corsa atomica). Secondo, più informale, il supporto nemmeno troppo clandestino che Teheran fornisce a gruppi politico-militari sciiti violenti che odiano l’Occidente e che l’Iran usa come proxy per aumentare la propria presa su alcuni paesi mediorientali (un esempio: tre giorni fa il leader politico-ideologico dei libanesi di Hezbollah ha parlato in occasione dell’anniversario della guerra con Israele e ha ufficialmente offerto alla Guida Suprema iraniana la sua disponibilità a combattere in ogni regione del Medio Oriente in nome della causa internazionale sciita). In un mix delle due situazioni: da fine luglio escono segnalazioni su una possibile fabbrica per la produzione di missili (probabilmente non vettori balistici) costruita in Siria, a Wadi Jahannam, e gestita sotto la supervisione iraniana. Il governo di Teheran è il principale sostenitore — in termini di sforzi — del regime di Damasco: le milizie sciite, per primo Hezbollah, sono ormai l’organico dell’esercito, e l’Iran sta sfruttando da anni la guerra civile come elemento per allungare la propria influenza sul Mediterraneo (come fa con Beirut).

ROUHANI DICE CHE TRUMP È INAFFIDABILE

“Noi resteremo impegnati nell’accordo” ha detto Rouhani in un discorso al parlamento (che stava votando per confermare il nuovo gabinetto ministeriale), però prenderemo decisioni se gli altri violeranno i termini. Rouhani ha definito la Casa Bianca di Trump “inaffidabile”, e ha citato il ritiro imposto sull’accordo climatico di Parigi e il passo indietro sull’apertura a Cuba (con il deal iraniano sono le tre più grosse legacy internazionali lasciate da Barack Obama, e spesso Trump ha cercato di distruggere l’eredità del suo predecessore senza una strategia di ricostruzione ma solo come una sorta di rappresaglia politica).

GLI INTERESSI DIETRO AL DEAL

Le nuove sanzioni americane sono arrivate poco dopo che, per la seconda volta nei primi sei mesi di presidenza Trump, l’amministrazione aveva confermato che l’Iran sta lavorando nel rispetto dell’accordo. Si tratta di revisioni trimestrali (la prima del 2017 c’è stata ad aprile, l’altra a luglio) con cui gli Stati Uniti tengono il punto sull’impegno iraniano. Ma a Washington comunque non si fidano fino in fondo, e il programma militare missilistico e quello politico delle milizie sono aspetti preoccupanti; d’altronde l’amministrazione Trump s’è dipinta fin dalla campagna elettorale come dura con l’Iran Allo stesso tempo altri dei protagonisti del deal hanno dato più fiducia a Teheran: la Russia è un alleato ufficiale, l’Italia ha riavviato i rapporti via Eni, la Francia chiuso importanti accordi economici tramite Total e Renault, la Cina allunga in Iran gli interessi geo-strategici della rotta politico-commerciale One Road One Belt; la stessa Boeing, la ditta aereospaziale americana preferita da Trump, ha vinto una grossa commessa in Iran. Pare difficile dunque, visto le grosse situazioni coinvolte, che gli screzi tra Rouhani e Trump vadono oltre le necessarie posture dettate dalle dinamiche politiche interne.



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