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Tim-Telecom Italia, ecco perché il governo sbaglia su Vivendi. Parola di Cassese e Zoppini

Golden power. Il caso tra Vivendi-Telecom e Palazzo Chigi ruota attorno alla legge che fissa i poteri speciali riservati al governo nei settori considerati strategici. All’inizio di agosto, su iniziativa del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda (nella foto), l’esecutivo ha avviato un’istruttoria per valutare se nella vicenda Vivendi-Telecom esistano i presupposti per l’esercizio del golden power. Il decreto di riferimento è il n. 21 del 15 marzo 2012, che contiene una serie di norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della Difesa e della sicurezza nazionale e per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Il governo può intervenire sulle aziende quando gli interessi strategici della nazione sono considerati a rischio? La proprietà francese di Telecom, di cui il gruppo Vivendi è primo azionista col 23,4%, può davvero minare la sicurezza nazionale nella lotta alla criminalità e al terrorismo?

LA VERSIONE DEL GOVERNO

Per cercare risposte, a Roma si sono affidati a un pool di esperti che hanno ricostruito la vicenda dalla fine di luglio, quando il gruppo francese guidato dal finanziere bretone, Vincent Bollorè, ha rafforzato la presenza dei francesi in Telecom Italia annunciando “l’inizio dell’attività di direzione e coordinamento” di Tim da parte di Vivendi. Qui il governo ha sollevato la questione: Vivendi avrebbe dovuto preventivamente notificare l’avvio della direzione e del coordinamento a Palazzo Chigi. Ma non l’ha fatto. Secondo il Sole 24 Ore, i tecnici del governo, per applicare il golden power, seguirebbero una doppia pista. La prima riguarda Sparkle, una società con sede a Roma al 100% di Telecom Italia che dispone di 560mila chilometri di cavi, anche sottomarini, che collegano l’Italia agli Stati Uniti, all’America Latina, al Nord Africa e al Medio Oriente. Per i tecnici del governo, i dati e il traffico che viaggiano attraverso l’azienda di proprietà di Telecom hanno un ruolo cruciale ai fini della salvaguardia nazionale. Di conseguenza, ed è questa la seconda strategia, restando nell’ambito della comunicazione si potrebbero applicare i poteri speciali anche senza il golden power. All’attenzione di Palazzo Chigi, però, ci sarebbe un’altra società: la Telsy di Torino, acquisita da Telecom nel 1990. Telsy, ha scritto Repubblica, fornisce software per le comunicazioni criptate a diversi governi del mondo, tra i quali quello italiano. Sparkle e Telsy, in particolare, sarebbero le due società che Roma non vorrebbe sotto il controllo di Vivendi. Il caso Telecom è scoppiato durante un’altra crisi industriale tra Italia e Francia, quella relativa all’affare Fincantieri-Stx. Calenda, però, ha smentito che esista un collegamento tra i due dossier: “Facciamo quello che il governo deve fare, cioè applicare le regole che esistono”, ha spiegato il ministro prima di sottolineare che l’iniziativa su Telecom e Vivendi “non ha nulla a che fare con la questione Fincantieri”.

LA VERSIONE DI TIM-TELECOM ITALIA

Vivendi ha ribadito che la sua posizione in Telecom non comporta “alcun pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti, degli impianti e della continuità degli approvvigionamenti”. Tim-Telecom Italia s’è affidata al parere di due esperti giuristi, Sabino Cassese, già ministro e consigliere della Corte costituzionale, e il giurista Andrea Zoppini, ordinario all’Università Roma Tre e già sottosegretario alla Giustizia. Secondo i due esperti, non ci sono i presupposti affinché il governo possa ricorrere al golden power, in quanto nella compagnia telefonica non c’è stato cambio di proprietà e l’annuncio di Vivendi di esercitare funzioni di direzione in Tim è da considerarsi solo un atto di governance e non un’ammissione di controllo. Per Cassese e Zoppini, l’art. 2 del decreto legge 21/2012, che fa riferimento ai poteri speciali inerenti agli attivi strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, nel caso Vivendi-Telecom non si può applicare per due motivi, come si evidenzia nel parere ricevuto dall’esecutivo. Primo: non c’è controllo ai sensi della disciplina prevista dal decreto che, come chiarito a livello comunitario, dev’essere interpretata in modo restrittivo e tassativo. Secondo: anche se ci fosse controllo, in ogni caso non si dovrebbe notificare nulla da parte di un soggetto comunitario. Anche in caso di un’eventuale assimilazione al cosiddetto controllo di fatto dell’antitrust di Vivendi su Tim, non ricorrerebbero i presupposti per la notifica prevista dal decreto legge n. 21/2012. Anche l’art. 1, quello dedicato ai poteri speciali nei settori della Difesa e della sicurezza nazionale, secondo la tesi di Cassese e Zoppini non è applicabile nella vicenda relativa a Vivendi-Telecom, in quanto non ci sono i presupposti previsti dalla legge. L’art. 1, inoltre, non si applica alle telecomunicazioni che, peraltro, erano state già privatizzate al momento dell’entrata in vigore della disciplina. Nessuna attività, sostengono i giuristi interpellati da Tim-Telecom, risulta in proprietà di Tim o risulta comunque sotto la gestione a qualsiasi titolo della stessa società. Soltanto in un punto la citata normativa discorre di reti di comunicazioni riferendosi, tuttavia, alle reti di telecomunicazioni di proprietà del ministero dell’Interno, destinate a essere impiegate nelle attività di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica, non che di difesa civile. Ruolo che, per i due legali, non è di competenza né di Vivendi, né di Telecom. Di conseguenza, il golden power, il nodo dell’intera vicenda, secondo gli esperti che seguono il caso per Tim-Telecom non è applicabile, è la posizione del gruppo ex monopolista messa nero su bianco e inviata al governo.

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