Il mese di agosto sembra iniziare sotto i migliori auspici per quella che viene considerata l’alleanza più fastidiosa del Medioriente, ossia quella fra Turchia e Qatar. Il tutto, con apparente buona pace di Arabia Saudita, Egitto e Stati Uniti, determinati a mettere all’angolo l’emirato, ufficialmente accusato di sovvenzionare gruppi terroristici islamici e che è vittima di in vero e proprio assedio da parte un un blocco importante dell’Islam sunnita. Nell’attesa che la crisi fra Riyad e Doha si ricomponga, Washington guarda con preoccupazione l’autonomia con la quale la Turchia sta conducendo la sua politica estera nell’area.
Martedì ha preso avvio una esercitazione militare congiunta, che durerà una settimana e alla quale parteciperanno 250 soldati e 30 veicoli blindati della Mezzaluna. La seconda fare vedrà la partecipazione delle forze marittime. Era un’esercitazione in programma da tempo, ma arriva a meno un mese dalla decisione del parlamento di Ankara di mandare più truppe in Qatar. Impegno, anche questo incluso in un accordo firmato nel 2014, ma diventato esecutivo proprio nel momento più difficile della crisi fra l’emirato e l’Arabia Saudita, e quindi caricato di un significato simbolico che non lascia spazio a interpretazioni alternative. La Turchia ha scelto di stare dalla parte del Qatar e di contrapporsi in modo concreto alla leadership dell’asse saudita-egiziano nel mondo islamico sunnita. Il ché, almeno finché regge Al-Sisi a Il Cairo, significa una situazione dove la tensione può tornare a salire in qualsiasi momento, anche se non si sa, concretamente, fino a che punto.
È chiaro che la Turchia sta facendo tutto questo non solo per le ambizioni internazionali che il presidente Erdogan rincorre ormai da tempo e che hanno contribuito a destabilizzare tutta la regione mediterranea. Ankara ha il suo bel tornaconto economico, calcolato in investimenti per miliardi di dollari, che sembrano destinati alle più rosee prospettive.
Oggi circa 100 businessmen qatarioti arriveranno a Smirne, per beffardo destino la città più orgogliosamente laica della Turchia. Ad accogliere la delegazione della Qatar Chamber, ci saranno il ministro dell’Economia turco e il presidente della Tim, l’associazione degli esportatori della Mezzaluna. L’obiettivo è quello di firmare più contratti possibili per possibili acquisizioni dell’emirato in Turchia, appalti per Ankara, oltre agli immancabili scambi commerciali. Che però all’economia turca stanno facendo piuttosto bene, se si conta che le esportazioni verso l’emirato sono aumentate del 126% dal 2011 e adesso si aggirano intorno ai 430 milioni di dollari.
Nel 2016 il Qatar ha chiuso con 1,2 miliardi di investimenti in Turchia, quest’anno potrebbero arrivare fino a due e tutti nell’industria di difesa. Intanto, la Tekfen Holding, colosso nel settore infrastrutture, ha annunciato di avere vinto una gara per la da 200 milioni di dollari per la costruzione di un’autostrada nell’emirato. Si vanno ad aggiungere agli altri contratti che ha nel Paese e che hanno raggiungo la cifra di 2,5 miliardi di dollari.
Segno che se mettersi dalla parte del Qatar mina i rapporti con altri Paesi dell’area, fa assumere posizioni di forza in altri luoghi che possono rivelarsi particolarmente prosperi. E il Qatar di soldi da investire ne ha tanti.