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Tutti i dettagli (e i vincitori) della ritrovata amicizia fra Turchia e Russia

mediterraneo daghestan, Russia, Putin

Un anno fa, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, aveva appena visto fallire un golpe contro di lui, rischiava l’isolamento internazionale e si recava a San Pietroburgo su invito del presidente russo Vladimir Putin, per riappianare le relazioni fra i due Paesi, praticamente azzerate dal novembre 2015, da quando cioè i turchi abbatterono un caccia di Mosca che stava sorvolando il confine siriano. In quell’occasione fra Erdogan e Putin erano volate parole grosse. Il numero uno del Cremlino aveva accusato la famiglia del capo di Stato turco di fare affari con lo Stato Islamico, mentre Erdogan aveva bollato le sue parole come “indegne”.

Nella conferenza di San Pietroburgo tutto questo sembrava un lontano ricordo, almeno da parte di Ankara. Il presidente turco aveva definito quello russo “un amico”. Putin aveva detto che i rapporti sarebbero ripresi per gradi. A quei tempi vi erano pochi dubbi, ma una certezza: qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe stato il capo del Cremlino a dettare l’agenda.

A un anno di distanza si può dire che le cose sono andate esattamente così e a suggellare il primo anniversario della ritrovata “amicizia” è arrivato l’impegno turco ad acquistare un sistema di difesa missilistico S-400, l’equivalente dello SA 21-Glower in uso nella Nato. Un affare da circa 3 miliardi di dollari e se si tiene conto che Ankara rappresenta il secondo esercito dell’alleanza atlantica, la notizia avrà fatto gioire Putin e fatto storcere il naso a qualcuno a Bruxelles (almeno si spera).

La verità è che da 12 mesi la Turchia sta facendo tutto quello che dice la Russia, anche se ogni tanto alza i toni, a livello puramente formale e di facciata, anche se ogni tanto Erdogan manda a Mosca qualche emissario di lusso a dire che così le cose non vanno bene.

Al momento il rapporto fra i due Paesi è di mutua convenienza, dove però la Russia sta incassando di più rispetto alla Mezzaluna. Putin ha ottenuto che Erdogan facilitasse l’iter parlamentare per la costruzione del Turkish Stream, il gasdotto che dovrebbe portare energia in Europa scavalcando l’Ucraina e la centrale nucleare di Akkuyu, che verrà costruita dalla russa Rosatom.

Il capo del Cremlino ha poi ottenuto la cosa più importante, ossia che il presidente siriano, Assad, resti al suo posto. Riducendo al minimo le ambizioni turche di giocare un ruolo chiave nella spartizione del Paese e, per il momento, di instaurare una zona controllata da Ankara dove si trovano i curdi del Pyd. Occorre sottolineare, nel caso ce ne fosse bisogno, che Putin non sta facendo questo per motivazioni umanitarie, ma perché la Siria al momento è la partita russa più importante nella regione mediterranea.

In terzo luogo, non bisogna dimenticare che la Turchia rappresenta un importante importatore di petrolio e gas naturale. Quello che ha ottenuto Ankara è decisamente più modesto: una partecipazione al momento di secondo piano negli accordi di Astana sulla Siria. Le esportazioni di alcuni prodotti turchi, come i pomodori, che rappresentavano il core business degli scambi commerciali da parte turca, sono ancora ferme. Non sono ancora stati ri-liberalizzati i visti, che erano stati reintrodotti nei 9 mesi di crisi.

In compenso, Putin ha dato il via libera ai turisti russi, che erano letteralmente scomparsi dalle spiagge turche e questo particolare potrò salvare la stagione dal disastro totale.

Di certo, da un anno è il Cremlino che conduce il gioco. L’unica cosa che potrebbe cambiare questa situazione è un interessamento del presidente Usa, Donald Trump, che dovrebbe estradare Fethullah Gulen, l’ex imam ed ex alleato di Erdogan considerato il mandante del golpe militare fallito, e permettere ad Ankara di annientare i curdi del Pyd. Ma da Washington nessun segnale in questo senso. Anzi, cercano di parlare con Putin.



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