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Venezuela, Maduro e il crimine organizzato globale

Anno 2006. Tra i primi leader mondiali a giungere a Beirut per esternare la propria solidarietà al “popolo di Hezbollah”, Hugo Chavez non ebbe problemi ad apparire tra le macerie fumanti di Beirut sud mentre Hasan Nasrallah, avvolto nelle sue soffici sete, annunciava a quel popolo annichilito la “vittoria divina”. Ricordarlo è utile per domandarsi: cosa potrebbe unire Maduro, Hezbollah, Assad, i pasdaran, i narcotrafficanti messicani di Los Zetas, l’Africa occidentale, il giudice argentino Nisman e Gioia Tauro? Può essere questo un complesso viaggio da compiere per cercare di immaginare come il petrolio dell’Isis potrebbe essere giunto, secondo la Guardia di Finanza, nelle nostre raffinerie?

Per chi non voglia cedere a facili complottismi è indispensabile partire da nomi e cognomi, non da idee, o teorie. Un nome utile per tentare di entrare in una matassa ancora poco esplorata è quello del vice presidente venezuelano, Tareck el Aissami: il suo patrimonio, che sarebbe stimato in migliaia di milioni di dollari, non lo porrebbe in linea né con le difficoltà economiche di tanti suoi connazionali né con i valori enunciati dal movimento chavista. Eppure proprio l’amicizia con il fratello di Hugo, Adàn, ha scritto Odell Lopèz Escote, lo ha posto in una posizione di primissimo piano sin dall’inizio dell’avventura “rivoluzionaria”, quando era soltanto un giovanotto, figlio di un esule alla ricerca di una vita migliore, dirigente del partito Baath iracheno. Parte di quel profilo che ne ha tracciato su Vertice News. Dopo aver studiato “criminalistica” venne eletto, con un composto 97% dei consensi, al Parlamento, e nel 2007 divenne vice ministro della prevenzione e sicurezza cittadina: otto mesi dopo ministro dell’Interno e della Giustizia. Proprio allora comincia un curioso fenomeno registrato dall’Fbi: 173 cittadini mediorientali sospetti e fermati avevano acquisito documenti venezuelani. Quasi tutti erano libanesi, iraniani, siriani. E nei momenti più duri per la sua famiglia, un paio di anni fa, anche la sorella di Bashar al Assad sarebbe passata da Caracas. Le indagini si sono infittite e così è emerso il nome di Ghazi Nasr al-Dine; secondo gli inquirenti sarebbe legatissimo ad Hezbollah e al Aissami, ma anche al cartello di narcotrafficanti messicano Los Soles.

Il Centro per una Società Libera e Sicura non ha dubbi: l’attuale vice di Maduro ha costruito una rete di 40 imprese in tutta l’America Latina tramite le quali invia illecitamente capitali in Medio Oriente, in particolare attraverso la Banca Libanese Canadese, e tonnellate di droga colombiana e messicana negli Stati Uniti. Aissami, va detto, ha sempre fermamente negato, ma quando è stato interrogato dalla Dea statunitense in Colombia il narcotrafficante Walid Makled la situazione si è fatta più delicata. Perché? Perché Makled, di cui Caracas ha preteso l’estradizione, stando quanto riferito da numerosi giornali, ha confermato e firmato di aver pagato il fratello di Aissami. Aissami nega ancora, ma sono anche i suoi metodi di governo a lasciare dubbiosi: per quanto infatti non vi siano dati ufficiali, è tristemente plausibile che nel 2012, il suo ultimo da ministro dell’Interno, in Venezuela ci sono stati 21mila morti di morte violenta, l’anno precedente 19300. Lo denuncia L’Osservatorio Venezuelano della Violenza. I livelli di impunità in entrambi gli anni arriva al 90% secondo la Ong. Frutto dei tempi? Forse il frutto dei tempi è un altro, e cioè la recente sentenza che per la prima volta indica in un venezuelano con doppia nazionalità, come Aissami, un possibile candidato alla presidenza della Repubblica. Possibile? Possibile, se si considera che, ancora secondo Vertice News, la fortuna variamente controllata da Aissami ammonterebbe a tre miliardi di dollari. Troppo? Per non farsi prendere in contropiede dalla realtà va considerato che il conto si fa passando per tal Lopez Bello, ritenuto il prestanome di Aissami, azionista del Banco Intercontinental Bankshares LLC. L’elenco dei beni e delle società controllate richiederebbe uno spazio di cui non disponiamo.

Il quadro non sarà chiaro ma appare allarmante. E lo diventa ancora di più se consideriamo altre notizie, forse collegabili, e relative sempre agli anni della forte crescita di Aissami. Per leggerle, oltre alle date, bisogna tenere a mente il gran numero di libanesi emigrati in tutti i Paesi latinoamericani. In Messico ad esempio sono più di 200mila e siccome ottenere un regolare permesso di lavoro era molto difficile molti di loro, guarda caso, sarebbero finiti col trovarsi nella rete del cartello dei narcotrafficanti più sofisticato, Los Zetas. Nel 2011 è stato arrestato Ayman Juma, definito la testa di ponte di Hezbollah in Messico, che proprio con Los Zetas avrebbe introdotto negli Stati Uniti 95 tonnellate di cocaina e riciclato 850 milioni di dollari. Ma se i narcotrafficanti pensavano solo all’arricchimento non sarebbe così per Hezbollah, che quei soldi avrebbe usato per finanziarsi e organizzare proprie cellule. E Ayman Youma avrebbe guidato una vera e propria struttura terroristica ramificata in tutto il continente sudamericano. Sicuri? No, ma è interessante notare che questo arresto si è verificato nei mesi in cui Argentina e Iran, come ha scritto tutto il mondo, avrebbero negoziato, in Siria, un accordo segreto per depistare le indagini sull’attentato contro il centro culturale ebraico di Buenos Aires in cambio di facilitazioni petrolifere da parte iraniana. Lo avrebbe denunciato clamorosamente il giudice Nisman, ucciso però a Buenos Aires poche ore prima della sua deposizione davanti al Parlamento.

Tutto questo non accade per esclusiva smania di arricchimento. Ci sono guerre da finanziare, e quella in Siria dura proprio dal 2011, con un diretto e costosissimo impegno proprio di Hezbollah e dei pasdaran iraniani. E il resto del mondo?

I proventi cumulabili in America Latina grazie ai rapporti con i narcotrafficanti possono essere girati in quell’Africa occidentale dove da sempre è molto influente la comunità sciita libanese. Ha scritto al riguardo RightsReporter: “Le indagini della Dea hanno poi rilevato che Hezbollah sta rapidamente prendendo il controllo dello smercio della cocaina a livello mondiale. Decine di tonnellate di cocaina vendute in tutto il mondo, dagli Usa (che rimangono il cliente principale) all’Europa attraverso un’organizzazione capillare che fa arrivare gli aerei pieni di droga in Africa occidentale per poi distribuire il prodotto in Europa attraverso i canali della criminalità organizzata.”

Ci riguarda? Forse sì. Sempre nel fatidico 2011 Gianluca di Feo e Stefania Maurizi hanno scritto su l’Espresso che il porto di Gioia Tauro si è trovato al centro di “strani” traffici di mezzi speciali, “verosimilmente destinati ad Hezbollah”, e bloccati nel porto, a tentativi di mettere le mani su apparecchiature per produrre armi chimiche, tentate violazioni dell’embargo Onu nei confronti dell’Iran, strane resistenze da parte di una compagnia di navigazione italiana che ha creato una joint venture con una sua società statale iraniana che gli Usa hanno definito coinvolta nel programma missilistico iraniano. Le cronache del tempo ricordano anche di scafi invisibili ai radar prodotti in Italia e finiti in Iran. E il porto di Gioia Tauro figura non raramente nei vecchi articoli. Accadeva nel 2010, quando lì si intercettò esplosivo diretto ad Hezbollah, accade oggi con il maxi sequestro di cocaina di cui non si sa la destinazione. Sarebbe interessante però accertarne anche la provenienza.



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