La Cancelliera Angela Merkel si avvia ad una nuovo successo elettorale: secondo tutti i sondaggi, la tornata di domenica 24 settembre, almeno sotto questo profilo, non riserverà nessuna sorpresa. Alla conclusione del prossimo mandato, il quarto, eguaglierebbe il primato di Helmut Kohl, che per sedici anni, fra il 1982 1998, fu l’artefice dell’Euro e soprattutto il protagonista della Riunificazione. Supererebbe in longevità di governo anche Konrad Adenauer, che tra il 1949 ed il 1963 ebbe l’enorme merito di risollevare la Germania dalle distruzioni della guerra e dagli orrori del Nazismo, contribuendo a partire dal 1954 alla creazione della Comunità economica europea. Furono due Cancellieri capaci di imprimere alla Germania ed all’Europa svolte storiche.
Anche per la Cancelliera Merkel, il prossimo quadriennio sarà determinante per definire gli assetti futuri dell’Europa: quella che ha trovato nel 2005, al suo esordio, è già in frantumi, e non solo per via della Brexit. Da area centripeta, con la lunga e contestata prospettiva di adesione da parte della Turchia, e la prospettiva di estendersi attraverso l’Unione Euromediterranea varata nel 2008, è solcata da tensioni continue. Non sono solo il Mediterraneo ed il Medio Oriente ad essere tormentati da instabilità e guerre, ma l’intera Unione: la distanza tra i Paesi aderenti all’euro e quelli che hanno mantenuto la propria moneta si è accresciuta, con questi ultimi che si sentono ormai marginali rispetto all’enfasi posta sugli squilibri da sanare nell’Eurozona per salvaguardare la moneta unica; i Paesi mediterranei, Grecia, Spagna, Portogallo ed Italia, continuano a subire le conseguenze delle pesanti recessioni economiche; ad est, i Paesi aderenti al Gruppo di Visegrad si sono fatti sempre più decisi nel far valere i propri interessi. La solidarietà nei confronti di Grecia ed Italia, per quanto riguarda il ricollocamento dei migranti e la condivisa necessità di rivedere il Trattato di Dublino è solo apparente, mentre si preparano un po’ dappertutto misure per vigilare sul movimento delle persone all’interno dell’Unione.
Per il momento, ad Angela Merkel va riconosciuto il merito storico di aver salvato le banche tedesche dal collasso del 2008 e poi l’euro dalle numerose crisi nazionali ripetutesi a partire dal 2010, se pure imponendo a Grecia, Spagna, Portogallo ed Italia costi enormi, economici, sociali e politici, che si sono riverberati sulla tenuta delle istituzioni interne ed europee. Negli anni, la Cancelliera è riuscita a mantenere salde nei tedeschi due certezze: mentre le loro virtù sono insuperabili, i Paesi debitori devono espiare senza remissione le loro colpe. Il debito è un peccato, qualunque esso sia: verso estero oppure interno; bancario, pubblico o privato. La prospettiva della secessione catalana, così come la richiesta di maggiore autonomia fiscale da parte di Lombardia e Veneto in Italia, sono lo specchio della progressiva divaricazione tra le aree economiche e del tentativo, ad ogni livello, di imitare la Germania che fa della negazione della solidarietà territoriale e sociale un valore fondante.
La salvaguardia dell’euro, la moneta unica che ha rappresentato la chiave del successo commerciale tedesco nei confronti della concorrenza europea ed internazionale, ma soprattutto la maggiore debolezza tedesca per via della possibile implosione, è stato il secondo successo di Angela Merkel. Usando come sponda il Presidente francese Francois Sarkozy, ha fatto cadere il velo sul metodo comunitario che attribuisce alla Commissione la gran parte dei poteri decisionali, riportandoli al livello governativo attraverso l’Eurogruppo, il consesso dei Ministri dell’economia e delle finanze dei Paesi dell’eurozona che non trova alcun fondamento nei Trattati. E sono stati drammatici gli scontri che qui si sono consumati tra il Ministro delle finanze tedesco Wolfang Shaeuble e quello greco Yanis Varoufakis, culminati nella chiusura degli sportelli bancari per carenza di liquidità e nel blocco di ogni tipo di transazione commerciale e finanziaria. Il piano tedesco, denominato Euro-plus, declinato nei vari Compact, era chiaro sin dall’inizio: si trattava di cortocircuitare le procedure di riforma dei Trattati europei, che richiedono l’unanimità, per varare accordi internazionali paralleli, istitutivi del Fiscal Compact e dell’ESM.
Il prossimo Cancellierato si apre con quattro incognite, rispetto a cui il guscio europeo è inservibile. Riguardano le relazioni bilaterali: quelle con la Gran Bretagna a valle della Brexit, dovendo bilanciare direttamente gli interessi all’export commerciale con la competizione finanziaria tra Londra e Francoforte; quelle con la Francia di Emmanuel Macron, che si muove in piena autonomia sullo scacchiere internazionale, dall’Iran all’Africa; quelle con gli Usa guidati da Donald Trump, che non rappresentano più quell’alleato sicuro su cui la Germania ha potuto contare da settant’anni a questa parte; quelle con la Cina, che non è vista solo come un mercato di sbocco, ma come un pericoloso predatore di tecnologia.
Sul versante della proiezione internazionale, la Germania rimane vincolata al suo status non nucleare e di soggezione ai vincoli dell’Onu: la prospettiva di costituire un esercito europeo, che pure era stata accarezzata insieme al Presidente francese Francois Hollande, sembra essere sfumata. Il suo successore, Emmanuel Macron, molto difficilmente condividerà con la Germania il suo armamento nucleare e soprattutto il seggio di membro permanente nel Consiglio di sicurezza: sono gli unici atout che Parigi può far valere verso Berlino, soprattutto dopo che la Gran Bretagna è uscita dall’Unione, per ribilanciare i rapporti di forza.
Le relazioni con la Francia rimarranno ambigue, visto che la proposta di Emmanuel Macron, di nominare un unico Ministro delle finanze europeo come responsabile delle politiche di bilancio dei singoli Stati e forse anche dotato di un proprio portafoglio di risorse, è nettamente alternativa all’idea tedesca sostenuta dal ministro Wolfang Schaeuble, di attribuire al riformato ESM maggiori poteri sul rispetto del Fiscal Compact da parte dei diversi paesi, sottraendoli alla Commissione che in questi anni si è dimostrata fin troppo accondiscendente. Il secondo punto cruciale è rappresentato dal rapporto tra debiti pubblici e banche, con la prospettiva di stabilire un limite alla loro detenzione per evitare che i rischi sui primi si riverberino sulla stabilità delle seconde, e di rafforzare le procedure che assicurino un default ordinato dei debiti sovrani. In questa maniera, un nuovo shock asimmetrico non dovrebbe provocare una crisi generalizzata dell’Eurozona.
L’Italia è particolarmente esposta, visto che tra il 2008 ed il 2017 la quota del debito pubblico sottoscritta dall’estero è caduta dal 42,% al 29,7%, così come la detenzione delle famiglie è scesa dal 15,6% al 5,4%. Il sistema bancario, invece, è salito dal 9,9% al 16,2%, mentre le assicurazioni ed i fondi hanno incrementato la loro partecipazione dall’11% al 19% del debito totale. La Banca d’Italia, attraverso il Qe, a sua volta è salita dal 3,5% al 14,3%: un livello appena più basso rispetto a quello che raggiunto nel 1980, considerato così elevato da indurre al divorzio con il Tesoro.
La recessione determinata dalla severità delle politiche di bilancio ha portato alla esplosione dei debiti pubblici europei, mentre la loro rinazionalizzazione in vista di internalizzare il costo del default è un risultato ambiguo. E’ dubbio che basti a mettere al sicuro l’euro, visto che la riduzione dell’esposizione debitoria verso l’estero agevola la introduzione di monete nazionali, parallele o alternative che siano. La fine del Qe si approssima, comunque vada.
La Germania è riuscita in questi anni a ribaltare all’esterno ogni problema, ignorando le continue richieste di riequilibrio commerciale e di solidarietà. All’accresciuto disordine interno all’Europa, si aggiunge ora quello internazionale. Il risveglio tedesco potrebbe essere brusco, ma la Cancelliera Merkel non potrà davvero darne la colpa a nessuno.