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Giù le mani da Cristoforo Colombo

Alberto Milani, presidente della camera di commercio Italy-USA di New York, la più antica camera di commercio internazionale, lancerà il 12 ottobre il comitato “Giù le mani da Colombo” per difendere il simbolo italiano dalla furia iconoclasta in corso negli States. Formiche.net lo ha sentito per chiedergli come si evolveranno le proteste contro il navigatore genovese.

Presidente Milani, cos’è e chi comprenderà questo comitato per difendere Colombo?

Non abbiamo definito i partecipanti, l’obiettivo era lanciare un sasso nello stagno. Ci sono molti fuocherelli di reazione a quello che sta succedendo da quando a Los Angeles la parata è stata cancellata. Come istituzione italiana che rappresenta le aziende negli Stati Uniti noi della Camera di commercio Italy-Usa abbiamo voluto coordinare questi sforzi. Il 12 ottobre usciremo con un manifesto che metterà insieme le idee di tutte le associazioni. È un processo che continua nel tempo, se si abbassa la guardia l’estate prossima ricomincia.

Quindi è un’isteria che si ripete ciclicamente o quest’anno la situazione è diversa?

Credo che in questo caso sia stata accentuata dagli eventi di Charlottesville, che non hanno nulla a che vedere con Cristoforo Colombo. Noi vogliamo difendere il diritto della comunità italiana a celebrare il Columbus Day in un Paese fondato sulla possibilità di manifestare le proprie opinioni e nazionalità.

Il 12 ottobre non è troppo tardi per salvare la statua del Columbus Circle?

Il sindaco De Blasio ha dato 90 giorni ad una commissione. Ho ragione di credere che i nostri sforzi stiano pagando. Siamo tranquilli sulla Columbus Parade di lunedì 9 ottobre, ma anche sulle sorti della statua e del nome della piazza. A New York c’è stata una bella alzata di scudi, due giorni fa si è schierato anche il governatore dello Stato di New York Cuomo.

Quindi a New York, città che ha votato quasi all’unisono democratico alle presidenziali, non piacciono gli attacchi a Colombo di democratici come la speaker Viverito?

Secondo me ci sono due aspetti. La tragedia di Charlottesville è stata la miccia che ha delineato l’oggetto del contendere, in quel caso c’erano dei risvolti politici più marcati, in questo per noi non ci sono mai stati, si tratta dei diritti e la rivalutazione della popolazione indigena che sono stati sempre abbracciati dalla comunità italiana. Io sono in America da 25 anni, i valori italiani all’estero sono più sentiti. Colombo per noi non rappresenta l’accanimento contro gli indigeni,ma il passaggio dell’italiano che da migrante diventa americano. Ci ricorda le generazioni di italiani prima di noi che hanno sempre lavorato sodo con pochi diritti e senza la possibilità di celebrare la propria cittadinanza.

E l’aspetto politico? De Blasio pagherà alle elezioni comunali di novembre questa sua ambiguità?

Ieri, combinazione dopo lo schieramento del governatore Cuomo, De Blasio ha tranquillizzato sulla valutazione della statua di Colombo. Noi da italiani avremmo voluto che il sindaco di New York, che peraltro ha cambiato il suo nome in italiano, si schierasse prima. A livello politico da qui a novembre non penso che gli convenga schierarsi in maniera diversa. Spero e credo che la situazione rientri e che lui partecipi alla Columbus Parade.

Quanto c’entra l’amministrazione Trump con questa isteria negli USA?

Credo che l’isteria non sia legata a un precedente. Il revisionismo storico è una bestia pericolosa e bipartisan, abbattere le statue è come bruciare i libri. Spesso uno schieramento politico accende polemiche che però nascono da un sentire sociale e non sono nate oggi. A Los Angeles si è arrivati con un processo democratico a vietare una parata italiana. Non lo hanno fatto in due giorni, ma con uno schieramento che procede per diversi anni e diversi consigli comunali sino ad arrivare a un voto di 14 consiglieri contro 1.

In questo periodo il tema migranti negli Stati Uniti è molto caldo. Cosa pensa della decisione di Trump di ripudiare il DACA e i cosiddetti dreamers?

Credo che l’immigrazione debba essere regolata e assoggettata a parametri più severi. Questo succede da sempre: rispetto a quando sono arrivato io, oggi per un italiano è molto più difficile ottenere un visto di lavoro o la cittadinanza americana. Sono più preoccupato del presente che del futuro. In questo paese c’è una grossa parte della popolazione di immigrati che non è stata gestita. Ma l’immigrazione gestita, che entra nel Paese con certe regole, è da sempre la forza degli Stati Uniti.

A sentire le polemiche sembra che questi dreamers siano tutti membri delle gang o ingegneri della Apple. Quale delle due è vera?

Ha ragione, non sono né solo uno né solo l’altro. La verità è che c’è una parte della popolazione di immigrati che rientra nei millennials e che nel prossimo futuro sarà la forza trainante del mercato. Vogliono lavorare negli Stati Uniti perché negli ultimi anni la comunicazione digitale ha diffuso informazioni che prima non c’erano: quando un giovane realizza che in un Paese vicino al suo c’è la possibilità di una vita migliore è portato a seguire questo sogno.

A voi è stato affidato l’importante compito di coordinare le camere di commercio dell’area NAFTA. Quanto pesano sui negoziati dell’accordo le accuse di Trump alla manodopera a basso costo degli immigrati messicani?

Noi abbiamo nove camere in area NAFTA: cinque sono americane, tre canadesi, poi c’è una messicana, che però è la più diversa rispetto alle altre, in primis perché è l’unica a non parlare in inglese, poi perché è più collegata al Sud America rispetto che al Canada o agli Stati Uniti. Quanto alle accuse, gli equilibri dell’accordo non si possono spostare da un giorno all’altro per le polemiche sull’immigrazione.

Quindi è vero che l’immigrazione al confine Sud deve essere regolata?

Assolutamente si, al di là del muro con il Messico, l’immigrazione deve essere regolata. Le accuse alla manodopera, penso che non siano fondate e non è certo una politica di blocco dell’immigrazione che risolve il problema. La realtà è che la manodopera è dettata dalle regole del mercato. Anche in Italia ci sono i lavoratori sottopagati che raccolgono i pomodori, ma non sono realtà che influenzano l’economia in maniera determinante. In gioco ci sono i valori umani prima ancora di quelli economici.

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