Tutti coloro i quali, seguendo il grido di battaglia di Gino Strada, accusano Marco Minniti di essere “uno sbirro”, portano sulle loro spalle la responsabilità ultima di aver fatto fallire lo ius soli. Non se ne rendono conto o forse sì, se si parte dal presupposto che il loro nemico numero uno è il Partito Democratico, stessa bestia nera dei grillini. Intendiamoci, l’errore tattico è del Pd e qui non si cercano scuse. Un misto di velleitarismo e superbia dottrinaria lo ha spinto a non tener conto dei rapporti di forza. Lontani sono i tempi degli antenati comunisti e democristiani, di Palmiro Togliatti per il quale proprio il calcolo dei rapporti di forza era l’alfa e l’omega dell’agire politico, di Enrico Berlinguer secondo il quale “con il 51% non si governa” o di Aldo Moro e delle sue “convergenze parallele”, contraddittorie in matematica, non per una politica che volesse evitare la “guerra civile permanente”.
Ma l’errore del Pd nasce anche dalla vecchia tentazione di non avere nemici a sinistra, di prendere come termometro l’opinione di una pattuglia gauchiste per poi scoprire che buona parte degli amministratori locali di sinistra sono contrari alla politica delle porte spalancate agli immigrati. Certo, sui media le battutacce alla Gino Strada fanno notizia, ma non è da politici che aspirano a diventare leader farsi dettare l’agenda dai giornali o da sondaggi abborracciati e per lo più non corrispondenti ai veri desideri degli elettori (come le urne hanno più volte dimostrato)
Il Pd adesso dice che è solo un rinvio e la legge verrà approvata prima che finisca la legislatura, ma sa bene che non sarà così e forse verrà affondata per lungo tempo dal cambiamento avvenuto nell’opinione pubblica. In Italia sono riemersi gli spettri del passato. Altro che Bel Paese, altro che brava gente, comanda la paura alimentata dal pregiudizio. L’Italia non è la sola, sia chiaro, l’intera Europa è attraversata dai fantasmi del proprio passato. Ogni campagna elettorale in qualsiasi Paese (ultima in ordine di tempo la Norvegia) è dominata dal timore degli effetti dell’immigrazione sulla economia, sulla società, sulla cultura. L’Europa che ha rifiutato di mettere nella sua costituzione il riferimento alle proprie radici ebraico-cristiane adesso non esita a cavalcare la caccia alle streghe. Non è un caso. Se il sonno della ragione genera mostri, la pavidità politica è una minaccia alla democrazia.
Né l’Italia né l’Europa hanno capito che cosa stava accadendo ai suoi confini. Eppure, c’era stato il crollo della cortina di ferro che aveva portato in occidente masse di persone povere, provenienti da società agricole, che mai nella loro vita erano vissute in sistemi liberal-democratici. Poi è arrivata la globalizzazione con le sue aspettative eccessive e altrettanto irrazionali di benessere per tutti sempre e comunque. E dentro la globalizzazione ha scavato come una talpa il fondamentalismo islamico. Infine il collasso, probabilmente inevitabile, dei regimi nazionalisti arabi che avevano fatto da diga.
E’ un quarto di secolo (anzi quasi trent’anni ormai) che ha cambiato l’Europa, ma i Paesi europei si sono occupati d’altro, la Ue ha pensato a proteggere il proprio orticelli (anzi, i propri ortaggi), ha rifiutato un serio dibattito sulla propria identità, non si è data una politica (quindi leggi e comportamenti) per far fronte in modo razionale alla nuova situazione.
Ci sono state reazioni in ordine sparso. Decisioni sciagurate come quella di Dublino sugli sbarchi e l’asilo, reazioni xenofobe, chiusure dei confini o scatti d’orgoglio apprezzabili come quello di Angela Merkel. Ma non c’è stata una politica di accoglienza e di sicurezza né una linea di condotta comune e condivisa, l’equivalente di una Maastricht sull’immigrazione. Se le cose stanno così è chiaro che lo Ius soli nell’Italia di oggi è una fuga in avanti. Non averlo capito per fare un favore a una sinistra (che alle prossime elezioni rischia di non entrare nemmeno in Parlamento dopo aver rosicchiato voti al Pd) è stato un errore. Sarebbe una prova di serietà riconoscerlo.