Incontri per la pace promossi dalla Comunità di Sant’Egidio. Con moderna efficacia il vice-ministro degli esteri Mario Giro ha messo il dito sul punto cruciale del confronto di oggi e di domani: “esiste un Islam 2.0?”, esiste un kit prefabbricato, messo a disposizione dei nuovi nichilisti? Non è questo il problema, almeno “europeo”, del terrorismo? Se non ci si capisce su questo sarà difficile capirsi su tutto il resto! Dunque, esagerando, potremmo che a Münster si aperta una pagina nuova nella decisiva storia del dialogo? Certamente si può dire che il confronto promosso dalla Comunità di Sant’Egidio non solo ha offerto questa riflessione cruciale, ma ha anche registrato un’ importantissima “risposta indiretta” islamica, che ci aiuta a capire come l’imam dell’Università islamica di al-Azhar abbia portato e illustrato un pensiero più aperto e “moderno” rispetto ad altri, oggi in quel mondo assai diffusi.
Seguendo la strada indicata dal professor Andrea Riccardi, per il quale la globalizzazione ha bisogno di un’anima, al Tayyeb infatti, in modo assai significativo, ha concluso così il suo intervento: “La soluzione risiede in un’etica umanitaria globale che comprenda l’Oriente e l’Occidente e che governi il nostro mondo contemporaneo e guidi il suo cammino. Solo le religioni possono essere un’ alternativa all’etica contraddittoria e conflittuale che ha spinto il nostro mondo verso ciò che assomiglia a un suicidio di civiltà, e non verso un programma di etica mondiale, come dice Hans Küng. Ma tutto ciò è condizionato dal fatto che si stabilisca la pace tra le religioni stesse, anzitutto, secondo il famoso adagio che recita: “Non c’è pace nel mondo se non c’è pace tra le religioni”. E’ questa una sintesi fedele delle parole con cui il Grande Imam di al-Azhar, al-Tayyeb, pronunciate alla presenza della cancelliera Angela Merkel. Le tradizionali letture alla al-Jazeera, basate su bene contro il male, il bianco il nero, sono state finalmente poste in dubbio. E questo lo si capisce meglio entrando nel merito, nel cuore del discorso di al-Tayyeb.
Ha preso le mosse da quella che lui stesso ha chiamato, in modo estremamente preciso e impossibile da equivocare, la cultura del “vivere insieme”, cioè dall’urgenza di “ creare un futuro umano caratterizzato dalla sicurezza, dalla pace, e dal vivere insieme, dalla conoscenza reciproca basata sui principi di giustizia, libertà, uguaglianza tra gli uomini”. Quindi al-Tayyeb ha ricordato la difficoltà a riferirsi a tutto ciò come un desiderio, un obiettivo, e non un sogno, per chi come lui viene dall’Oriente, dal Medio Oriente, dal mondo arabo, scosso da guerre di una violenza inaudita e che un tempo, quando ancora entità sovranazionali o carte dei diritti umani, si limitavano ai campi di battaglia, mentre oggi distruggono intere città e coinvolgono interi popoli: “La maggior parte della distruzione organizzata che ha colpito noi in Oriente – a quanto dicono gli osservatori di politica internazionale – è causata del terrorismo islamico, e perciò si è dovuto intervenire per fermarne la minaccia e salvare da esso le popolazioni. Permettetemi, Eccellenze di dire – e mi auguro di non valicare i limiti dell’etichetta e della cortesia propria dell’ospite – che la causa di ciò che sta accadendo in Medio Oriente sta nel commercio degli armamenti (occidentali), nel garantirne la produzione continua e la vendita e la ricerca di aree che facilitino il sorgere di lotte religiose o settarie fino a giungere ad un sanguinoso conflitto armato. La storia del terrorismo rimane fino a questo momento – per quanto mi è dato saperne – una storia confusa, e il terrorismo non cessa di somigliare ad un trovatello di genitori ignoti di cui non si sa chi siano suo padre né sua madre… Non voglio andare avanti nel resto di questo racconto confuso di questo essere miracoloso, nato con zanne e artigli pronti, e che non aveva ancora raggiunto l’età di tre anni allorché proclamava lo Stato islamico, che pone il proprio nome in cima ai bollettini di notizie internazionali fino ad ora. Con ciò non intendo esimere il nostro Oriente arabo e islamico dalla piena responsabilità storica di questo terrorismo, ci sono molte e interconnesse cause tra ragioni politiche, religiose, educative e sociali, ma non riesco a capire [da dove venga] il potenziale della ricerca scientifica, tecnica e militare della regione, settori in cui questa organizzazione si è mostrata in pieno sviluppo, come non capisco la politica mordi-e-fuggi per affrontare questa organizzazione e proteggere gli uomini e le donne indifesi dai mali e pericoli causati da costoro”.
Dunque al Tayyeb sembra parlare di una duplice responsabilità: quella culturale, che ha consentito la nascita di un pensiero deformato e terrorista, e di una responsabilità materiale, oltre, e questo forse è il punto più rilevante, di una politica “mordi e fuggi” che non protegge chi si è trovato a vivere sotto il male rappresentato dai terroristi.
Il punto più “debole”, o forse meno elaborato, del discorso del grande imam di al-Azhar è quello in cui, dopo aver ricordato agli europei i loro trascorsi “non democratici”, “non rispettosi dell’uomo e dei suoi diritti”, ha rivendicato per i paesi arabo-islamici il diritto a risolvere da soli e secondo i loro tempi questi problemi. Ma questo non basta a riallacciare la visione di al-Tayyeb con quella “tradizionalista”, che vede un bianco e un nero, un bene e un male. E’ chiaro che questa visione non consenta di capirsi, mentre quella di al-Tayyeb, soprattutto sul terrorismo, può benissimo introdurci all’importantissima lettura dei nuovi terroristi (soprattutto europei) fatta dal vice-ministro degli esteri Mario Giro: “I reclutatori – ha spiegato Giro – hanno inventato un Islam 2.0 che è come una app: una religione diversa, aggiornata e semplificata che si rivolge a chi vuole reagire alle frustrazioni. Non basterà distruggere l’Isis per interrompere queste manipolazioni, perché imprenditori della paura potranno sempre manipolare i più fragili, in particolare, i giovani. Dobbiamo guardare in faccia questi giovani che hanno scelto per il lato oscuro e investire nell’educazione”. Un’educazione, vien da pensare, che non dovrebbe condurli al di là degli steccati, verso quell’etica globale, critica e autocritica, alla quale l’imam al-Tayyeb, superando una certa retorica, ha fatto riferimento, richiamandosi al pensiero di un credente “ribelle” come Hans Küng.