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Che cosa è successo in Alabama (e a Trump)

Roy Moore ha vinto le primarie repubblicane per le suppletive al seggio senatoriale dell’Alabama (si voterà a dicembre, il seggio è quello lasciato scoperto dall’attuale Procuratore generale Jeff Sessions). Moore ha sconfitto Luther Strange, un membro storico del Partito Repubblicano locale, senatore uscente, che aveva ottenuto il sostegno diretto (ma con via via minor convinzione) del presidente Donald Trump.

Ma attenzione a parlare di sconfitta per il presidente. Trump ha effettivamente appoggiato Strange, che è un senatore repubblicano a cui anche la leadership del partito ha dato sostegno, però dietro c’era un calcolo: il presidente sapeva che prendere quella posizione era necessario, dato che aveva bisogno dei voti del partito (e dell’impegno della leadership) per far passare la riforma sanitaria al Senato – finita poi in un fallimento, perché mancavano i voti per sostenerla e dunque ritirata dall’ordine del giorno dei lavori della camera alta per la terza volta in sei mesi. Questo aspetto d’opportunità, nasconde la vittoria di Moore, che ha posizioni molto più trumpiane di Strange (e dunque, possibile che sotto sotto il presidente non sia troppo scottato che il suo cavallo abbia perso).

Moore ha ricevuto il sostegno di Steve Bannon, l’ex stratega della Casa Bianca, uomo forte del trumpismo perché lo ha pensato e generato, diffuso prima che Trump stesso calcasse i podi della campagna elettorale. Moore è un candidato anti-establishment, molto estremo su certe posizioni, e molto populista; un trumpiano perfetto, insomma. È appoggiato dalla destra più inferocita contro Capitol Hill, e ha preso posizioni radicali per esempio su temi come l’omosessualità (da detto che “dovrebbe essere illegale”) e contro i musulmani (a cui, secondo lui, non dovrebbe essere permesso di ottenere seggi al Congresso).

E qui sta il punto centrale. Il Partito Repubblicano è ormai infestato da queste posizioni estremiste, al punto che il candidato che ha vinto queste primarie era colui che le sosteneva, e non quello che riceveva l’appoggio formale della Casa Bianca e del partito. In vista delle elezioni di metà mandato del novembre 2018 è possibile che ci saranno altri candidati di questo genere a vincere le primarie repubblicane. È un piano discreto con cui Trump intende ribaltare il partito e spostarlo più verso le sue visioni: partecipano le bocche di fuoco mediatiche di Bannon, ancora più libero adesso che è fuori dalla Casa Bianca, e i soldi (tanti) del finanziatore Bob Mercer.

L’obiettivo è trovarsi con un Congresso che si possa posizionare più sulla linea rivoluzionaria amata personalmente dal presidente, che su quella classica del conservatorismo americano. La sconfitta pragmatica con Strange (su cui i normalizzatori interni al potere presidenziali hanno voluto schierare Trump) si porta dietro una lieta notizia: ha vinto colui che a istinto piaceva al presidente.



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