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Bitcoin, ecco gli Stati che frenano (e che spingono) sulle microvalute

Tempesta sulle criptovalute. Ieri la Cina ha dichiarato illegali le Ico, vale a dire le procedure di sottoscrizione e finanziamento effettuate per creare nuove criptovalute, ordinando che qualsiasi attività di questo genere «termini immediatamente». I fondi già raccolti per le nuove Ico dovranno essere restituiti agli investitori, ha ordinato la banca centrale cinese. Il colpo si è fatto sentire sulle quotazioni del bitcoin e delle altre valute digitali come l’ethereum. Quest’ultimo ha perso il 16,3% scendendo sotto quota 300 a 285 dollari, mentre il bitcoin ha ceduto l’8% a 4.263 dollari. Ethereum, creato dal ventenne russo Vitalik Buterin, ha sofferto in modo particolare perché la stragrande maggioranza delle Ico viene fatta usando la sua piattaforma.

Nei primi sei mesi dell’anno in Cina sono state lanciate 65 Ico, che hanno raccolto 394,6 milioni di dollari da 105.000 investitori individuali. In tutto il mondo, secondo una ricerca di Smith&Crown, nello stesso periodo di tempo sarebbe stato raccolto più di 1 miliardo di dollari mentre in tutto il 2016 erano stati raccolti solo 256 milioni. Per Chainalysis il 10% di questa somma è stato letteralmente rubato perché le Ico coinvolte erano una truffa bella e buona.

Il tutto ricorda un po’ la fine degli anni 90, quando bastava che la società più inconsistente aggiungesse il suffisso «.com» al proprio nome originale per assicurare il successo della sua ipo. Il giochetto è durato per qualche anno, poi è scoppiata la bolla. Fino a oggi l’Ico di maggiore successo è stata quella di Eos, che ha raccolto 180 milioni di dollari. Un conto, però, è fare una buona raccolta, un altro è lanciare una nuova criptovaluta le cui quotazioni salgano. Bancor, per esempio, ha raccolto 143 milioni di dollari, ma dal giorno dell’Ico ha perso il 12%, mentre Polybius, basata in Estonia, ha raccolto 32 milioni, ma ha poi perso il 24% del suo valore.

Il provvedimento cinese non è giunto inaspettato, visto che le autorità di Pechino stanno stringendo le redini della regolamentazione finanziaria, preoccupate per la fuga di capitali da tempo in corso nel Paese. Gli effetti di questa politica sono già tangibili: l’anno scorso il 90% del trading in criptovalute veniva fatto sul mercato cinese mentre oggi la maggioranza dei volumi si è trasferita in Giappone e in Corea del Sud. Appunto per questo, nella notte di domenica si pensava che il bitcoin sarebbe salito a causa dell’acuirsi delle tensioni con la Corea del Nord, visto che da molti viene indicato come un bene rifugio. Ma la mossa della banca centrale cinese ha cancellato l’eventuale effetto Kim Jong-un.

Dopo la messa al bando in Cina, probabilmente la grande maggioranza delle start up che hanno in programma un’Ico si trasferirà in Svizzera o nel Regno Unito, Paesi con una regolamentazione del settore molto blanda. Negli Stati Uniti, intanto, le Ico sono diventate mainstream: domenica scorsa Paris Hilton ha twittato che parteciperà a quella di LydianCoin. Vedremo se la Sec deciderà di mettere fine al giochino.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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