Nella Chiesa cattolica di Papa Francesco è pericoloso essere troppo conservatori, ma allo stesso tempo è pericoloso anche essere troppo liberali: parola del New York Times.
È quanto sostenuto in un articolo apparso sul quotidiano statunitense, a firma del giornalista Ross Douthat, dove viene citato il caso del filosofo cattolico austriaco Josef Seifert, rimosso dalla sua carica di docente dell’Università di Granada per mano dell’arcivescovo locale – il filosofo, che ha descritto l’esortazione apostolica Amoris Laetitia come una “bomba”, è stato rimosso dalla cattedra perché con le sue posizioni “danneggia la comunione della Chiesa” – e quello del gesuita James Martin, che si è visto annullare un invito a tenere un discorso presso la Catholic University of America, per parlare del suo libro intitolato “Costruire un ponte” – molto discusso negli Stati Uniti, decisamente meno in Italia – in cui viene trattato il tema dell’omosessualità nella Chiesa.
I CONFLITTI LIBERALI-CONSERVATORI E LE DIVERSE DOTTRINE CATTOLICHE. L’ANALISI DEL NYT
“Le inquisizioni conflittuali, liberali e conservatrici, sono il risultato inevitabile della volontà del Papa di spingere nuovamente le tensioni della Chiesa fin dentro una guerra civile, e in seguito di parteggiare per le posizioni più liberali usando dichiarazioni ambigue e interventi non ufficiali, invece di fare un utilizzo esplicito dei poteri che il suo ruolo gli attribuisce”, si legge. Il suo “stile personalizzato” ha poi “sconvolto le linee di autorità all’interno della Chiesa”, ha scritto Douthat, che in questo modo ha rigirato al mittente la stessa accusa che viene spesso lanciata dai sostenitori di Bergoglio nei confronti dei suoi più agguerriti accusatori, citando per di più una sua personale diatriba online con il professore ferrarese della Villanova University Massimo Faggioli.
Il giornalista ha argomentato che sui diversi temi Francesco detiene un’autorità decentralizzata, è vero, ma solamente in maniera informale. Questo gli permette di conservare tutti i poteri formali del suo ruolo, e di incoraggiare “una spinta teologica” senza “cambiare i confini ufficiali riguardo a ciò che la Chiesa cattolica insegna e cosa no”. Il risultato che ne consegue è la creazione di due diverse versioni dello stesso insegnamento cattolico: quello che emerge dai libri, e dalle disquisizioni dei teologi, e quello che lo stesso Papa offre nelle sue numerose apparizioni pubbliche, attraverso le “sue strizzate d’occhio” e le sue “allusioni”. Ed è a entrambi che “i diversi cattolici possono appellarsi”.
IL QUOTIDIANO AMERICANO: “L’UNICA CERTEZZA CATTOLICA, AL MOMENTO, È L’INCERTEZZA”
In questo contesto, “chiunque desideri sapere cosa pensa davvero il Papa è meglio che ignori i canali ufficiali del Vaticano” e si metta invece ad ascoltare le discussioni che si sviluppano su Twitter, “dove i suoi più stretti collaboratori esplodono contro i suoi oppositori”, spiega l’analista americano. Tuttavia, anche “questo genere di Cremlinologia” non chiarisce completamente le sue intenzioni, e per questo “gli alleati liberalizzanti di Francesco sono spesso impazienti con lui”, talvolta finendo per andare “fuori dalle sue intenzioni”, per ritrovarcisi “dentro” in seguito.
Lettura che porta Douthat a una conclusione: “L’unica certezza cattolica, al momento, è l’incertezza. Sotto la guida di Francesco, l’insegnamento della Chiesa sulla comunione ai divorziati risposati varia da Paese a Paese e da diocesi a diocesi, e persino gli ammiratori del Papa non sembrano concordare su quali siano le posizioni ufficiali del Vaticano”. Le stesse posizioni sull’eutanasia, continua, “cambiano nelle diverse zone del Canada”, e “il Vaticano sembra persino accettare i cambiamenti verso i quali si è spinto un ordine religioso belga, lasciando intendere l’effettiva possibilità di accettare la pratica del suicidio assistito nei suoi ospedali” (qui l’approfondimento di Formiche.net).
LA SOLUZIONE: “INCORAGGIARE IL DIBATTITO PUBBLICO, PORTARLO DAL WEB A PARROCCHIE E UNIVERSITÀ”
Situazione che pare essere calcolata per “far sentire tutti autosufficienti e autogestiti”, mentre li si vede “lamentare di una retorica tossica” e lanciarsi “insulti”. Ma che, altresì, “pone istituzioni cattoliche, come scuole e parrocchie, università o negozi diocesani, in una posizione molto difficile”, inducendoli nella “tentazione, già evidente, di stare lontano dal conflitto, di evitare di riconoscerlo e di auto-segregarsi”. Per questo, di fronte all’ampliamento delle divergenze, “non è un bene fingere che queste non esistano”, e che “i leader della Chiesa non siano sempre più in opposizione l’uno con l’altro”, scrive il giornalista. Anche perché “il veleno del dibattito che si sviluppa online finisce per diventare una reazione a questa pretesa pubblica di tranquillità”.
Tuttavia una soluzione c’è: “Incoraggiare un dibattito rispettoso su argomenti seri. Portare i dibattiti online tra domenicani e gesuiti negli auditorium universitari e nelle parrocchie. Permettere agli studenti e ai laici cattolici di capire le rispettive posizioni. Invitare cattolici come padre Martin a parlare dei propri argomenti controversi, e invitare i suoi critici a rispondergli. Lasciare che i vescovi, abituati a scontrarsi dietro le porte chiuse dei sinodi, come quello sulla famiglia, si confrontino in pubblico e di persona”.
QUALE SARÀ IL FUTURO DELLA CHIESA CATTOLICA, DOPO LA CRISI DI QUEST’EPOCA?
È difficile sapere cosa verrà fuori dalla crisi cattolica di questa epoca, aggiunge il corrispondente, domandando: “È possibile che la Chiesa davvero diventi sempre più simile a quella anglicana, con teologie cristiane diverse tra loro che coesistono sotto lo stesso ombrello?”. E “questo periodo di duelli, inquisizioni, milizie digitali, prelude alla vittoria delle posizioni più liberali, che molti cattolici vedono coincidere con i rischi già paventati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, oppure in futuro il pendolo si riposizionerà, come temono i sostenitori più irrequieti di Francesco, lasciandone l’eredità in mano a giovani tradizionalisti e a un pontefice reazionario, come quello descritto dallo “Young Pope” di Sorrentino?”.
La fede a volte dà risposte, ma la ragione naturale consiglia dubbi, conclude l’autore. Ma al di là di ciò, la tesi è che troppe censure non giovano al conflitto, anzi. L’unico modo di andare avanti è la controversia.