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Ciampi e la Banche popolari

Ricorre, in questi giorni, il primo anniversario della scomparsa di Carlo Azeglio Ciampi e diverse sono le iniziative in corso per ricordare uno dei più importanti uomini delle istituzioni italiane nonché il contributo che egli seppe dare in anni complicati della vita economica e politica del nostro Paese. Anche a noi piace cogliere questa occasione per ricordare la sensibilità che seppe dimostrare nei confronti del Credito popolare in anni che, oltre che complessi, produssero profondi cambiamenti nel sistema bancario italiano, quelli a cavallo tra gli ’80 e i ’90.

L’allora Governatore della Banca d’Italia, nel novembre del 1989 interviene, a Bologna, al convegno organizzato dall’Associazione fra le Banche Popolari, su “Concorrenza nel sistema bancario e l’evoluzione delle Banche Popolari”. La posizione della Banca centrale, all’avvio della più grande e profonda riforma e ristrutturazione del sistema bancario italiano dal 1936 era netta e Ciampi la illustra con altrettanta nettezza: «Se è indubbio che la tendenza alla despecializzazione è generalizzata, è altrettanto vero che essa non può, non deve, giungere ad annullare le differenze che caratterizzano il nostro sistema creditizio; non può annullarle perché esse corrispondono a una realtà economica, quale è quella italiana, che è e resterà contraddistinta, più di ogni altra economia europea, dalla pluralità di dimensioni e di strutture dei soggetti. E’ una diversità che costituisce una forza del nostro sistema economico, sia reale sia finanziario: consente una risposta più pronta alle sollecitazioni interne e internazionali. Di questa specificità, di questa forza, le banche popolari continueranno a essere elemento importante».

Carlo Azeglio Ciampi è stato Governatore della Banca centrale dal 1979 al 1993. Sono anni importanti e complicati nei quali la trasformazione della società italiane era evidente e, di conseguenza, era maturata l’esigenza di una riforma del sistema bancario. Nella prospettiva del mercato unico dei servizi finanziari e sulla spinta della liberalizzazione dei movimenti di capitale si resero necessarie prima la legge Amato-Carli del 1990 e, poi, la nuova legge bancaria del 1993. Una vera e propria “rivoluzione” della quale Ciampi, da Palazzo Koch fu, naturalmente, uno dei maggiori protagonisti. Quella riforma, che andava a regolare il sistema fino ad allora normato ancora dalla legge del 1936, si basava su due assi portanti. Il superamento della banca pubblica sulla quale, come era già chiaro allora, la politica produceva un’invadenza nefasta, e un intervento sulla regolamentazione della concorrenza visto che quello esistente era considerato eccessivamente limitativo. Attraverso la tutela della concorrenza, con quella riforma, si voleva introdurre una disciplina “snella” e due sole forme giuridiche: s.p.a. e cooperativa. Dal 1990 al 2000 si realizzano, così, 500 aggregazioni con il trasferimento di oltre il 40% di quote di mercato. Il sistema bancario italiano, che nel 1990 era composto da 1.064 banche, 93 “pubbliche” (il 57,2% del totale dell’attivo del sistema bancario), 106 di credito ordinario (20,5% dell’attivo), 108 Popolari (14,2 dell’attivo) e 715 Casse Rurali e Artigiane (4,3%), ne uscì totalmente ridisegnato con la scomparsa definitiva delle banche pubbliche.

Ciampi, uomo di grande onestà intellettuale, non confuse mai l’esigenza di modernizzazione con il “modernismo”, e in quell’intervento del 1989 ad Assopopolari mentre il processo di riforma si stava avviando, era ben consapevole del ruolo strategico che svolgevano nel Paese le Banche Popolari. Basta rileggere tornare ancora a rileggere le sue parole: « La banca è impresa. Come tale è chiamata a dimostrare la capacità di affermarsi in mercati concorrenziali. A questa evoluzione non si sono certo sottratte le Banche popolari che, nel sistema, rappresentano un terzo del totale in termini di unità aziendali, un quinto in termini di sportelli. La loro affermazione è testimoniata dalla tendenza delle quote di intermediazione nel lungo periodo». E ancora: «Queste cifre confermano i tratti peculiari della categoria delle popolari: diversità di dimensioni all’interno del gruppo; radicamento dell’articolazione territoriale; dinamismo nell’attività di intermediazione orientata in prevalenza verso operatori di piccole e medie dimensioni». Insomma, concludeva Ciampi, «va preservato il quadro normativo che contraddistingue le Popolari, in particolare nella struttura azionaria con riguardo sia ai componenti il corpo sociale sia alle caratteristiche dei titoli rappresentativi del capitale di rischio». Anche successivamente, nell’ambito di numerosi scambi epistolari con chi scrive, Ciampi ebbe a riaffermare e sollecitare con forza la difesa delle ragioni e dei valori delle Banche popolari: «il Credito popolare può rivendicare un ruolo che i cambiamenti radicali del sistema bancario, nell’ultimo quindicennio, non hanno negato» (settembre 2007). E, ancora, a distanza di poco tempo (aprile 2008) ribadiva che andava riconosciuta la specificità del Credito popolare «legata prima di tutto al radicamento territoriale e, quindi, alla conoscenza profonda della clientela, delle sue esigenze e delle sue effettive possibilità».

In anni più recenti abbiamo dovuto assistere ad un cambio di linea rispetto a quella di Ciampi e della “sua” Banca d’Italia. Contro il Credito popolare, le scelte diverse del mondo politico, con un accanimento a dir poco discutibile e tutto italiano, hanno favorito i grandi oligopoli finanziari nell’acquisizione di  posizioni rilevanti nel capitale. Ma questa è un’altra storia che andrà scritta in futuro alla luce di un provvidenziale e generale cambio di tendenza che sta riportando le giuste condizioni perché possa essere tutelata la funzione delle Banche popolari e del territorio e il ruolo insostituibile che le stesse svolgono a favore delle economie delle zone di appartenenza salvaguardando la concorrenza.

 



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