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La legge Fiano sul fascismo? Inutile e sbagliata. Ecco perché

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“In Italia esistono due fascismi: il fascismo e l’antifascismo”, così scriveva Ennio Flaiano, col gusto del paradosso che gli era proprio, negli anni Cinquanta, cioè nel pieno della “guerra fredda” e di una battaglia ideologica che in Italia non sempre assumeva i contorni da strapaese o i volti bonari di Peppone e Don Camillo. A pensarci bene, l’affermazione di Flaiano era molto forte, era molto più di una boutade: metteva in qualche modo in discussione le basi ideologiche stesse, che sull’antifascismo erano poggiate, della Repubblica nata dalla Resistenza. Credo però che lo scrittore si riferisse da una parte ai contorni ideologici che a sinistra prendeva l’antifascismo, che lungi dall’essere un’affermazione di pensiero antitotalitario, era funzionale alle idee e alle politiche di un opposto e speculare totalitarismo, quello comunista; dall’altro, all’asprezza dei toni e delle invettive che, sottraendosi ad ogni civile dibattito politico e democratico sulle idee, tendeva semplicemente a delegittimare l’avversario (la “politica dell’odio” non è certo un’invenzione attuale, basti pensare solo un attimo come esempio al Palmiro Togliatti che non esita a definire “pidocchioso” chi ha idee diverse dalle sua!).

Tanta acqua è passata sotto i ponti, non solo della politica italiana, dai tempi della guerra fredda, eppure ogni tanto quello spirito fazioso, partigiano, manicheo, tende a riemergere, nelle stesse precise forme, sia fra i cosiddetti “intellettuali”, che nel nostro paese sono quasi sempre “impegnati”, sia nel più generale dibattito pubblico e nel mainstream culturale. E dispiace, e preoccupa al tempo stesso, che, per motivi politici (“dare un contentino” a sinistra), sia proprio un governo moderato e riformista come quello di Gentiloni a dare il là a questo spirito per il tramite di proposte di legge demagogiche e velleitarie come quella che ora, in piena età postideologica, inasprisce i reati contro l’apologia e la propaganda fascista.

La legge approvata alla Camera è a mio avviso inutile, inopportuna e sbagliata. Inutile, perché non c’è oggi in Italia un pericolo fascista e, se pure si registra da quell’area qualche episodio intollerabile di violenza per lo più verbale, esso è sicuramente arginabile con le leggi in atto. Inopportuna, perché tende a rinnovare una sempre latente “guerra ideologica” fra italiani: una guerra che, cadute le idee forti di un tempo, della precedente conserva appunto quasi solo più’ la facilità dell’insulto e della delegittimazione dell’avversario.

Sbagliata, profondamente, è infine la legge sotto due aspetti: uno di forma, l’altro di sostanza. Dal primo punto di vista, si può dire che il “reato di opinione”, come è quello che qui va a delinearsi, non è assolutamente compatibile con i principi di una democrazia liberale. La sua natura è, essa sì, fascista, tanto che, come è noto, esso era contemplato nel cosiddetto “codice Rocco” promulgato dal regime. Quanto invece al contenuto del provvedimento, il legislatore non dovrebbe ignorare che la storiografia più accorta e recente ha chiarito in modo inequivocabile come l’ avvento del fascismo storico non sia stato certo, come l’ideologia di un tempo diceva, una reazione della borghesia o del fantomatico capitalismo all’avanzare delle forze di sinistra, ovvero una difesa estrema contro la possibilità che una rivoluzione sovietica ci fosse pure in Italia.

Il fascismo  è piuttosto da mettersi sullo stesso piano del comunismo ed è da considerarsi come una rivolta alla democrazia rappresentativa, al parlamentarismo e, in una parola, alla civiltà liberale e borghese occidentale. Rinnovare l’idea che possa esistere un “fascismo eterno” che si rinnova nella stessa forma e sostanza di un tempo è pertanto, a mio avviso, che se ne sia consapevoli o meno, una forma di “distrazione di massa” da quelli che sono oggi i veri pericoli per la libertà. E, quindi, dai compiti e dalle responsabilità che ci si attenderebbe dalle forze politiche di governo.

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