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La partita di Paolo Gentiloni dopo il voto tedesco

Paolo Gentiloni

Il giorno dopo il voto in cui Angela Merkel è stata indebolita dall’ingresso nel Bundestag dell’estrema destra, Emmanuel Macron con un grande discorso alla Sorbona ha rilanciato con forza il progetto europeista: “Non cederò nulla a chi promette odio, divisione, ripiegamento nazionale. Bisogna rifondare un’Europa sovrana, unita e democratica”. Oggi il presidente francese incontra Paolo Gentiloni. Un’eccellente occasione per verificare se il governo italiano si accontenta di essere un gregario o un protagonista della nuova fase politica che si è aperta nel continente, non certo priva di incognite ma anche ricca di nuove opportunità per le forze democratiche che hanno capito la lezione delle urne in Gemania. A tal fine, urgono però statisti in servizio permanente effettivo (come lo sono la cancelliera tedesca e l’inquilino dell’Eliseo). Statisti che non si limitino a minacciare in modo stucchevole o sbattere i pugni sul tavolo di Bruxelles, magari acconciandosi nelle rispettive patrie all’onda populista, pensando così di limitare i danni (ogni riferimento alla legge Richetti sui vitalizi dei parlamentari, solo per fare un banalissimo esempio, non è puramente casuale).

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Come è noto, gli ex comunisti amano le citazioni. Poiché anch’io lo sono, ecco la mia: “Noi vogliamo cantar l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità”. È l’incipit del manifesto dei futuristi di Filippo Tommaso Marinetti (1909). Matteo Renzi forse lo conosce, e presumo che lo condivida. Il fondatore del movimento futurista aveva intuito molti decenni prima di Marshall McLuhan che il “mezzo è il messaggio”. Forse il leader del Pd lo ha appreso grazie al sociologo canadese, ma sicuramente ne è convinto anche lui. Per Marinetti un’automobile ruggente sull’asfalto era più bella della Nike di Samotracia imbalsamata al Louvre. Per Renzi un tweet che sfreccia nella Rete è sicuramente più bello di un barboso articolo conservato negli archivi dell’Unità. Per tutti e due, in ogni caso, valore sommo è la velocità. Correre e ancora correre, insomma. Caro Renzi, te lo chiede un renziano della prima ora oggi piuttosto deluso: già, ma per andare dove?

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Non so se, dopo le pagliacciate della kermesse di Rimini, Pier Luigi Bersani sia sempre pronto al dialogo in streaming con Beppe Grillo; se consideri sempre il M5s la forza di centro dei tempi moderni; se ritenga sempre che i pentastellati costituiscano un argine alla deriva populista e nazionalista; se pensi sempre che, ove alle prossime elezioni si indebolissero, arriverebbe una “robaccia di destra”. Ennio Flaiano diceva che si trova sempre qualcuno disposto ad alzare l’asticella del ridicolo. Ma, se Bersani non avesse cambiato opinione, saremmo oltre. Infatti, un movimento reazionario di massa nel vecchio Bersani-pensiero era addirittura l’architrave di una nuovo centrosinistra, il possibile alleato di un partito che si richiama al primo articolo della Costituzione (antitetico all’idea del reddito di cittadinanza).

Sonno della ragione, puro abbaglio teorico, semplice sintomo di quel clima sempre più ostile al renzismo in cui si è consumato il fallimento della riforma costituzionale e il ripudio del maggioritario? Non so rispondere. Forse non resta che sperare in congiunzioni astrali più benigne per la sinistra italiana.

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L’on. Giorgia Meloni, che con tutta evidenza conosce Le pensée sauvage di Claude Lévy-Strauss come le sue tasche, ha sostenuto in un pirotecnico talk show televisivo che ci sono alcune etnie inclini allo stupro. Un celebre aforisma di Karl Kraus recita: “La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il pensiero”.

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A proposito di libertà di pensiero, leggete questa chicca: “L’immigrazionismo è promosso dal nuovo padronato cosmopolita e deterritorializzato, che se ne avvale a mo’ di nuova deportazione di schiavi da cui estrarre plusvalore, e legittimato culturalmente dalla libertaria Sinistra del Costume, che lo santifica mediante l’accusa immediata di xenofobia e di razzismo ai danni di chiunque osi criticarlo” (dal blog di Diego Fusaro).

Leggete adesso questa definizione: “Glossolalia, ovvero espressione verbale di suoni, più o meno linguistici, incomprensibili. Come fenomeno anormale, indica i deliri verbali di alcuni malati di mente, caratterizzati dalla creazione volontaria di parole deformate, associate sistematicamente allo stesso significato e che producono un linguaggio indecifrabile. Come fenomeno normale, risulta da fonemi articolati in forma musicale e tali quindi da esprimere, proprio per la musicalità che generano, degli stati d’animo. Nel cristianesimo primitivo, fenomeno di cui è possibile trovare precedenti nell’antico profetismo israelita e consistente nella capacità di lodare e pregare Dio con un linguaggio comprensibile solo a quelli in possesso del dono dell’interpretazione (secondo s. Paolo, chi ha il carisma delle lingue ‘non parla agli uomini ma a Dio; ché nessuno lo comprende, e in spirito egli parla di cose arcane’)” [Enciclopedia Treccani].

Nel caso citato, non credo che si possa parlare né di fenomeno anormale né di carisma delle lingue. Non resta, allora, che la terza fattispecie.



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