Da giugno 2018, se lo desiderano, le donne in Arabia Saudita otterranno la patente “esattamente come gli uomini”. Lo ha deciso un decreto regio, letto in diretta sulla televisione nazionale e simultaneamente in una conferenza stampa a Washington. Una mossa che nasce dall’esigenza della dinastia di Riad di rimediare alle accuse di Paese ultra-conservatore che ne ha fortemente danneggiato l’immagine internazionale, oltre a essere un importante tassello nel percorso delle donne verso il pieno riconoscimento dei loro diritti.
NIENTE CONSENSO DEL TUTOR
L’ambasciatore saudita a Washington, il principe Khalid bin Salman (uno dei figli del re Salman), ha assicurato che le donne potranno chiedere la patente senza dover prima ottenere il permesso del marito, del fratello o del “tutor”, nonostante le leggi obblighino le cittadine saudite a sottostare all’autorità dei familiari di sesso maschile. Spetterà al ministero dell’Interno decidere se le donne potranno anche lavorare come autista, mentre un comitato inter-ministeriale fornirà le indicazioni per modificare il codice della strada e avvierà corsi di formazione per gli agenti di Polizia che non sono abituati a interagire con le donne alla guida.
PER FORTUNA C’È UBER
L’Arabia Saudita è una società in cui vige la Sharia islamica; gli uomini e le donne hanno – almeno ufficialmente – pochi contatti. Le donne possono accedere a diverse professioni (rappresentano il 21% della forza lavoro), ma spesso sono costrette a svolgere mansioni poco qualificate per via di severe limitazioni: per esempio, non possono condividere l’ufficio con un uomo o parlare a lungo con un uomo. Molte cittadine saudite rinunciano perciò alla vita professionale, anche perché ottengono paghe più basse e buona parte dello stipendio viene speso in autisti che le portano al lavoro. Di recente, servizi di ride hailing come Uber e Careem, che sono meno costosi, hanno garantito maggiori possibilità di spostamento alle donne saudite di ceto medio-alto.
IN AUTO VERSO DUBAI
Lo scarso accesso delle donne alle professioni è un problema anche economico. Il giovane principe ereditario Mohammed bin Salman, figlio dell’attuale re, ha detto che vuole portare al 28% la partecipazione femminile al mondo del lavoro ed è pronto a imprimere al regno saudita una piccola svolta economica e sociale. Di qui gli investimenti in fonti di energia rinnovabile e l’apertura di locali con programmi culturali e attività ricreative per famiglie. Finora per assistere a spettacoli, concerti e film l’unica scelta per i sauditi era guidare fino al Bahrain o a Dubai; proprio mentre si trovava alla guida di un’automobile per raggiungere gli Emirati Arabi Uniti è stata arrestata nel 2014 l’attivista per i diritti delle donne Loujain Hathloul, rimasta poi in carcere per 73 giorni.
SIMBOLO DI EMANCIPAZIONE
Negli anni ’90, durante le prime proteste delle donne per il diritto alla patente, molte manifestanti – che hanno invaso la capitale Riad in macchina – sono state arrestate e hanno perso il lavoro. Ora il vento è cambiato: nei giorni scorsi, una donna che si è travestita da uomo per guidare è stata fermata e interrogata dalla polizia ma non incarcerata, mentre un leader religioso che ha affermato che le donne non possono guidare perché hanno un quarto del cervello degli uomini è stato rimosso dal suo incarico.
Molti uomini in Arabia Saudita continuano a sostenere che è culturalmente inappropriato per le donne mettersi al volante; qualcuno si è spinto a dichiarare che permettere alle donne di guidare sarebbe promiscuo a tal punto da far crollare la dinastia reale o dannoso per il sistema riproduttivo femminile. Sono pregiudizi che hanno reso la lotta per il diritto alla patente un simbolo di emancipazione e uguaglianza per le donne. Ora le attiviste saudite (e non solo) esultano: tra queste c’è Manal al-Sharif, che nel 2011 in segno di protesta si è filmata mentre guidava e ha postato il video su YouTube. Oggi vive in Australia e annuncia la prossima battaglia, ovvero la totale eliminazione delle leggi sul tutoraggio che ancora limitano gli spostamenti e le decisioni delle donne del suo paese.
(Articolo pubblicato su l’Automobile, la testata diretta da Alessandro Marchetti Tricamo ed edita da ACI)