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Trump colpisce in Libia per la prima volta Isis (che sta tornando forte)

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Gli Stati Uniti hanno compiuto un bombardamento mirato in Libia contro miliziani dello Stato islamico: il primo raid del genere da quando Donald Trump è entrato in carica, uno dei pochi dopo che le forze aeree americane avevano dato sostegno dall’alto alla campagna con cui i miliziani misuratini alleati del governo onusiano a Tripoli hanno liberato Sirte, l’ex roccaforte libica, dall’infestazione baghdadista. L’ultimo attacco aereo ufficiale fu compiuto a fine mandato dall’amministrazione Obama: era il 18 gennaio.

LA RINASCITA DELL’IS LIBICO

Da qualche settimana il tema della presenza di cellule clandestine dello Stato islamico in Libia è tornato sotto gli occhi della stampa dopo un articolo informato del Wall Street Journal che ne raccontava le attività di rinascita; in Italia se n’è occupato Daniele Raineri del Foglio, che ha raccontato che anche la produzione media è aumentata notevolmente, come se l’organizzazione volesse far sapere di essere tornata forte. Si tratta di corpuscoli, che pian piano prendono controllo di fette di territorio suburbano discretamente – ma anche compiendo azioni più spettacolari come la decapitazione di alcuni poliziotti haftariani tre settimane fa. Al momento, secondo il WSJ, vivono di criminalità (estorsioni e sequestri) ma tra loro potrebbero esserci anche miliziani rientrati via Turchia e Sudan da Raqqa – ex roccaforte siriana, stretta ormai nelle fasi finali dell’assedio di riconquista – con una buona formazione ed esperienza militare. Il Pentagono stima siano non più di cinquecento.

LA PREOCCUPAZIONE EUROPEA

Quando il Califfato perse Sirte, la possibilità che alcune cellule si fossero disperse per il paese era data praticamente per certa da diversi analisti: questo è un motivo di forte preoccupazione per le intelligence europee, che ritengono che la Libia possa essere usata dai baghdadisti come piattaforma per gestire gli attentati in Europa (su questo ci sono due esempi preoccupanti: dietro agli attentati di dicembre 2016 a Berlino e quello di maggio 2017 a Manchester era stato ricostruito un network con collegamenti in Libia).

IL RAID

Già a fine luglio, secondo fonti locali del Foglio, ci sarebbero stati un paio di bombardamenti su siti in cui era stata segnalata la presenza di baghdadsti a Jufra. Il comunicato ufficiale di Africom, il comando della Difesa americana che copre l’Africa, dice che l’attacco aereo di questi giorni è avvenuto con sei raid compiuti venerdì 22 settembre alle sette di mattina, ed è stato concordato con il Governo di accordo nazionale. L’obiettivo del raid americano è stato un campo di addestramento 150 chilometri a sudest di Sirte. Target centrali: 17 miliziani e tre veicoli. Il campo, dice Africom, era usato per trafficare miliziani dentro e fuori il paese, stoccare armamenti, pianificare attacchi.

IL MESSAGGIO POLITICO

Nota semantica da evidenziare: nel comunicato viene usato il nome esatto che identifica il corpo politico-esecutivo che le Nazioni Unite hanno affidato alla guida di Fayez Serraj nel tentativo di riunificare la Libia. È una sottolineatura che non passa inosservata. Stati Uniti ed Europa ufficialmente danno riconoscimento formale solo al Gna, anche se hanno flirtato col suo principale oppositore, il maresciallo di campo self-made Khalifa Haftar, che giustifica la sua presenza proprio con la lotta ai terroristi. La divisione tra le due fazioni e il conseguente vuoto di governo, nonostante entrambe si intestino la lotta ai gruppi radicali come l’IS, è tra i motivi per cui i baghdadisti hanno ancora possibilità di muoversi in Libia. E questo il comunicato americano lo ricorda esplicitamente. Trump ha sempre dichiarato terzietà, quasi estraneità ai processi intra-libici (e per questo il richiamo all’instabilità nello statement dei militari è inusuale), ma ha altrettanto sostenuto la necessità di combattere ovunque il Califfato.


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