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English first, chi storce il naso sul progetto di May sull’immigrazione

C’è nebbia su Londra. O meglio sulla Brexit. Ma la confusione non è dovuta al voto che ha approvato il Great Repeal Bill. Mentre, infatti, la sinistra europea e Bruxelles mugugnano e incassano, a malincuore, i passi avanti e le decisioni del primo ministro inglese, il clima continua ad essere teso per via dell’immigrazione. Sarà quello il campo dove si giocherà la battaglia finale. La stampa internazionale, da una settimana a questa parte, continua a condannare l”English first‘ della May. E se Corbyn non ha inteso prendere le distanze dalla netta posizione del governo, il Labour resta fortemente diviso: ad oggi non mostra una linea comune, ma solo la mera corsa a rinnegare il manifesto elettorale di soli due mesi fa e per fare solo un dispetto al primo ministro.

Giovedì scorso Theresa May ha presentato la versione british del modello Trump, come si divertono a battezzarla i giornaloni provocatori: un dossier di 82 pagine, in cui si elencano le possibili misure che il governo inglese intende adottare per regolare l’immigrazione post Brexit. Si tratta di un testo dell’Home Office e il suo contenuto, oltre ad essere in attesa di approvazione da parte dei ministri inglesi, è “soggetto ai negoziati con l’Unione Europea”. La proposta – che se approvata dovrebbe entrare in vigore dopo il 29 marzo 2019 (data prevista per la fine dei negoziati con Bruxelles) – contempla l’ammissione solo di immigrati europei qualificati. Cosa vuol dire? Che se serve manovalanza o camerieri, vengono prima gli inglesi, ma se serve un ingegnere aerospaziale c’è posto per il più bravo quindi avanti italiani, francesi, tedeschi e così via.

Dell’idea della May aveva intuito qualcosa già a gennaio la cancelliera tedesca che aveva chiesto, così, ai paesi dell’Ue di fermare la Gran Bretagna nel voler ammettere solo chi ha un titolo di studio. “Cherry picking” lo chiamano, scelta selettiva. E’ crudeltà assicurare alla propria gente la priorità sui posti di lavoro e limitare l’immigrazione, specie quella irregolare? Qualche giorno fa il famoso editorialista Jack Doyle, sulle colonne del Daily Mail, ha pubblicato una chiara e attenta analisi sul come il nuovo progetto possa risultare vincente.

Se ogni cosa fosse confermata, ci sarebbero anche più controlli alle frontiere, identificazioni più meticolose e il passaporto in luogo della semplice carta d’identità. Nel documento, poi, si fa anche riferimento ai ricongiungimenti familiari. Insomma, basta con la dipendenza dal lavoro a basso costo degli immigrati e fare di più per addestrare i lavoratori inglesi. La May ha comunque voluto sottolineare il dovere che hanno i ministri, dopo il referendum dello scorso anno, sulla riduzione dell’immigrazione di decine di migliaia. Quindi inutile storcere troppo il naso. Eppure la proposta non è piaciuta proprio a tutti. C’è stata un po’ di perplessità soprattutto da parte del segretario di casa Amber Rudd, del cancelliere Philip Hammond e del segretario d’affari Greg Clark, che si sono detti preoccupati della rapida riduzione dell’immigrazione dall’Ue. Ma soprattutto, tra le voci in qualche modo dissidenti, c’è stata quella del primo segretario di Stato e fedelissimo della May, Damien Green.

Quanto al segretario alla Difesa, Sir Michael Fallon, ha fatto presto a rendere pubblica una breve puntualizzazione: “Abbiamo sempre accolto in questo paese coloro che possono contribuire alla nostra economia, persone con elevate competenze. D’altra parte vogliamo che le compagnie britanniche facciano di più per addestrare i lavoratori britannici. Non chiudiamo la porta definitivamente, ma dobbiamo gestite correttamente l’immigrazione. Anche perché la gente si aspetta di vedere che i numeri sull’immigrazione diminuiscano”.

Ma all’Europa il progetto della May sta stretto. Già specula sulle difficoltà che potrà incontrare e, nel frattempo, sguinzaglia i meteo economisti pronti a raccontare i disastri non solo dell’uscita dall’Ue, ma del piano sull’immigrazione. Eppure, se un quotidiano come il Guardian racconta che Londra continua a mantenere la posizione di principale centro finanziario del mondo, è proprio in vista del progetto May. E, intanto, le cose procedono. Tant’è vero che più o meno l’una e mezza – ora italiana – della notte tra l’11 e il 12 settembre, la Camera dei Comuni ha deciso di cancellare l’European Communities Act del 1972 – l’atto che segnò l’adesione dell’Inghilterra all’Unione europea e che stabilì il primato del diritto comunitario sul diritto britannico -, e quindi di revocare la potestà legislativa dell’Ue sul Regno Unito. Il Great Repeal Bill è legge.

Con 326 voti a favore e 290 contro, il governo di Theresa May ha messo a segno il primo passo dell’attuazione del voto referendario dello scorso giugno. Erano stati pronosticati tanti franchi tiratori in casa Tory, ma gli unici a tradire sono stati gli uomini di Corbyn. Ben sette deputati del Labour, ribellandosi alla linea del partito, hanno votato con la maggioranza decretando il fallimento della ‘primula rossa Corbyn‘ che continua a raccogliere sempre meno consensi. La soddisfazione della May per “la storica decisione che appoggia la volontà del popolo” è stata evidente, soprattutto per la possibilità di andare avanti nei negoziati “su solide fondamenta”.

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