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Ecco come stanno cambiando i rapporti di forza tra Francia e Germania

Francia

Ed allora? Forza Macron. Forse è troppo presto per sperare nel rovesciamento di un’antica alleanza. Non più l’asse tedesco-francese, ma quello franco-tedesco, con la rottura di quel vecchio rapporto ancillare che si trascinava dagli inizi degli anni ’90. Quando il franco fu salvato, nella grande tempesta della crisi dello Sme, dal sostegno offerto dalla Bundesbank. Caso più unico che raro, visto il rifiuto della stessa banca rispetto agli altri partner europei. L’Italia in testa.

Nel complicato scenario europeo, oggi la Francia appare più solida e determinata. Lo è sopratutto sul piano politico, dopo la sconfitta di Marine Le Pen, la cui possibile ascesa aveva fatto temere per il peggio. In Germania, invece, situazione rovesciata. AdF, il partito di “Deutschland über alles”, con la sua affermazione ha sconvolto i tradizionali equilibri. I socialdemocratici di Martin Schulz sono stati costretti ad abbandonare la partita del governo. Dovranno ricercare una futura legittimazione nel bagno salvifico dell’opposizione. Verdi e liberali, da un punto di vista programmatico, sono come cani e gatti. Ad Angela Merkel il compito quasi impossibile della quadratura del cerchio, mentre una parte della sua stessa formazione politica – la Cdu – non nasconde i suoi malumori.

Macron, al contrario, ha davanti a sé un lungo periodo di stabilità. A differenza di Hollande, è più determinato nel dare al Paese quella scossa che il precedente leader socialista non era stato in grado nemmeno di pensare. Lo dimostra il piglio con cui ha deciso di portare avanti la riforma del mercato del lavoro, infischiandosene delle proteste sindacali. Per altro divisi sulle risposte da dare. Manifestazioni solitarie solo di una parte del mondo del lavoro. Qualcosa che ricorda da lontano l’Italia degli anni ’80 e lo scontro sulla sterilizzazione di alcuni punti di scala mobile, voluta dal governo Craxi con il decreto di San Valentino.

Per l’economia francese, e non solo, entrare nell’epoca della modernizzazione è un’esigenza ineludibile. Rappresenta il completamento di una strategia che dura da prima della grande crisi, legata al fallimento della Lehman Brothers, ed ancora non del tutto risolta. Quei vincoli – un mercato del lavoro fin troppo statico – hanno pesato e pesano sul quadro macroeconomico, come risulta evidente dal permanente squilibrio delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Segno di un’economia che non riesce a stare al passo con i propri competitori. Nonostante l’impegno profuso, a livello governativo, nel sostenere il ciclo economico. L’esatto contrario di quanto accade in Germania.

Ed ecco allora due stili di vita, quasi due filosofie, che si confrontano e si proiettano sullo scenario europeo, delineando due contrapposti orizzonti. Quello di Berlino è segnato da un’austerità che ancor prima di far male agli europei, fa male al popolo tedesco. Lo si vede chiaramente nel prevalere di una scarsità artificiale nonostante l’abbondanza di risorse. Il numero di lavoratori precari che cresce costantemente fino a raggiungere il 20,7 per cento della forza lavoro. Oltre 10 punti in più per le donne. I poveri in aumento: dal 7 all’11,5 per cento in 10 anni. Pensionati che non riescono ad arrivare alla fine del mese. Come ricorda Ezio Mauro su La Repubblica. Dati che fanno a pugni con il gigantesco attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti: quasi nove punti di Pil. Un record (negativo) che supera anche quello cinese.

Il modello francese si colloca agli antipodi. Il numero dei disoccupati è più del doppio di quello tedesco. Quasi la sindrome italiana. Ma dalla nascita dell’euro il tasso di sviluppo dell’economia francese è stato, seppure di qualche decimale, superiore a quello tedesco. Nulla a che vedere con il ristagno quindicennale italiano. E segno evidente dei guasti determinati da chi, in passato, teorizzava le 35 ore – Lionel Jospin – come la grande ricetta di un capitalismo solidale. Errori sui quali Macron è determinato ad intervenire. C’è, tuttavia, un dato che evidenzia tutte le differenze. Dalla nascita dell’euro gli investimenti lordi francesi sono stati, in media, di 3 o 4 punti di Pil superiori a quelli tedeschi. Ottenuti anche grazie ad un deficit di bilancio che non si è curato minimamente né delle regole europee, né della forte e continua crescita del debito pubblico. Nella presunzione, dimostratesi fondata, che i mercati non avrebbero reagito negativamente, penalizzando il Paese con un aumento degli spread.

Ed ancora nel 2017, mentre il deficit pubblico francese supera il fatidico 3 per cento, la Germania presenta un bilancio in attivo, nonostante la richiesta inevasa di un più equo benessere sociale. C’è poco da dire. Da un lato la forza del colbertismo, pur con tutte le sue contraddizioni. Dall’altro i limiti del “modello renano”: il peso eccessivo delle banche, vere gestori dell’economia tedesca, con un’arcigna Bundesbank che limita i poteri dello Stato federale, rivendicando per sé la gestione dell’ingente accumulo di capitale, che deriva dal surplus della bilancia dei pagamenti. Contraddizioni nazionali che si proiettano sul terreno europeo generando contrapposte visioni del futuro assetto istituzionale. La proposta di Macron nel suo discorso alla Sorbonne. L’algida risposta dei liberali tedeschi che vorrebbero cacciare la Grecia dall’Eurozona. Ed in mezzo l’Italia, che dovrà scegliere con chi schierarsi. Speriamo che la divina provvidenza illumini i nostri futuri governanti.


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