Sono bastate 4.000 parole a Boris Johnson per scatenare il putiferio. Tutta colpa di un articolo scritto per il Telegraph. “Bravo BoJo” (è così che i tabloid inglesi lo chiamano), titola questa mattina proprio il Telegraph, raccogliendo le migliori riflessioni dei lettori del quotidiano inglese, intenti a commentare – positivamente – “il glorioso futuro che aspetta la Gran Bretagna” nel post Brexit, secondo l’articolo del Segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth del Governo May. Eppure il resto della stampa inglese in queste ore non fa che raccontare di un sempre più possibile “showdown” – la resa dei conti – tra la signora May e l’irrequieto Boris Johnson. Al centro del tavolo da gioco ci sarebbe, infatti, un’aspra polemica interna ai conservatori, ma soprattutto tra il segretario e il primo ministro.
Per la stampa, l’articolo di BoJo non avrebbe fatto altro che destabilizzare la leadership di Theresa May. Il gesto è stato visto, infatti, come un mero tentativo di ritrovare il posto di esponente del fronte antieuropeista e lanciare, in questo modo, la campagna per la leadership Tory. Ma che cosa avrebbe detto di così eclatante Johnson? Il capo della diplomazia britannica si è pronunciato innanzitutto contro il pagamento di un contributo all’Unione Europea per l’accesso al mercato unico, e ha riaperto le polemiche sui 350 milioni di sterline a settimana che la Gran Bretagna risparmierebbe quando la Brexit sarà realtà, e che gli piacerebbe destinare al finanziamento del servizio sanitario nazionale.
Un discorso che non avrebbe dovuto fare, dicono, perché non è lui alla guida del processo di ‘uscita’. Per il Times, addirittura Boris Johnson è rimasto isolato dopo il suo intervento perché persino uno come Michael Gove, segretario all’Ambiente e Brexiter di spicco, non lo ha appoggiato, mentre Amber Rudd, segretaria all’Interno, ha criticato la scelta di pubblicare la sua visione per una Brexit “gloriosa” in concomitanza con l’attentato terroristico di Londra. Poco male, però, se Michael Gove, proprio dalle pagine del Telegraph ha smentito ogni attrito.
Ma è soprattutto il rilievo di David Norgrove, presidente dell’Uk Statistics Authority, l’autorità di vigilanza sulle statistiche, a proposito dei 350 milioni di sterline a settimana che la Gran Bretagna può risparmiare, ad aver acceso le polemiche. Sir David Norgrove, in una lettera pubblica, si è detto “sorpreso e deluso” che Boris Johnson abbia scelto di tornare a parlare di quella cifra, confondendo, di proposito, a suo dire, contributi lordi e netti. Un “uso improprio delle statistiche ufficiali”, secondo Norgrove, ha indotto Johnson a dover presto dissentire, sottolineando che la sua posizione è stata mal rappresentata. Sarà pur vero, infatti, che i politici abusano delle statistiche quotidianamente – eppure, guarda caso, l’ente delle statistiche non interviene mai – ma questa volta non si è trattato di nessuna speculazione da parte di un politicante. Pare evidente, piuttosto, che Norgrove non deve aver letto per intero l’articolo comparso sul Telegraph. “Confonde i contributi lordi e netti. Presuppone inoltre che i pagamenti attualmente effettuati dal Regno Unito all’UE, ad esempio per il sostegno all’agricoltura e alla ricerca scientifica, non saranno più pagati dal governo britannico quando lasceremo l’Unione”, ha scritto il presidente dell’Uk Statistics Authority.
“Una volta che avremo stabilito i nostri conti, riprenderemo il controllo di circa 350 milioni di sterline a settimana. Sarebbe una buona cosa, come molti di noi hanno sottolineato, se un sacco di quei soldi andassero al NHS – National Health Service – a condizione di utilizzare l”iniezione’ di denaro per modernizzare e sfruttare al meglio le nuove tecnologie”, sono state, invece, le parole di Boris Johnson. Negli accordi con la comunità europea, tra contributi, rimborsi fiscali e finanziamenti Ue, il costo netto del Regno Unito è pressappoco di 200 milioni di sterline a settimana. Ora, il discorso del segretario di Stato risulta piuttosto chiaro: con la Brexit ci saranno un sacco di soldi che potranno essere meglio gestiti quando il governo inglese tornerà a poterne disporre direttamente. Ma, come ha sempre sostenuto lo stesso BoJo, anche nei dibattiti della campagna elettorale, la differenza tra ‘netto’ e ‘lordo’ esiste e non va sottovalutata. La domanda, infatti, resta una: dove vanno a finire le tasse? Il lordo è l’aspetto più rilevante in un’analisi politica, e si può essere più o meno d’accordo, ma il segretario di Stato per gli affari esteri ha semplicemente fatto riferimento al “controllo”: controllare l’importo prima che venga convertito nel ‘netto’. Una volta liberi dai vincoli Ue, sarà infatti il governo inglese a controllare quel denaro. Aggiungendo la promessa che ci sarà più denaro disponibile da investire nei servizi pubblici. Tutto qua. In un momento in cui i cittadini inglesi hanno bisogno di capire cosa succederà nel dopo Brexit, risulta difficile capire perché il discorso di BoJo possa correre il rischio di essere fuorviante – come sostengono Norgrove e chi lo segue.
La pressione mediatica sull’articolo comparso sul Telegraph intanto cresce sempre di più. Da un lato, quindi, l’ “uso improprio delle statistiche ufficiali”, dall’altro c’è chi insiste sul fatto che non solo il discorso di BoJo abbia inasprito il clima, ma che abbia messo anche i bastoni tra le ruote a Theresa May, che avrà difficoltà a trovare il tono giusto per il discorso sulla Brexit che dovrà tenere a Firenze. Ma le acque in casa dei conservatori non sono così agitate come le stanno disegnando. Direttamente da Dowing Street, è arrivata la prima rettifica, “Johnson non ha contraddetto la politica del governo”. Ma, soprattutto, oltre alle voce degli elettori che stanno trovando spazio sul Telegraph, sono tanti i colleghi di partito ad aver scelto lo spazio pubblico per sostenere Johnson e sgonfiare la bolla pompata dai media. “Boris ha fatto benissimo a sottolineare le opportunità positive che verranno dalla Brexit. La gente deve capire che il governo non si sta occupando di “gestire il declino”, ma di garantire un futuro, che sia più prospero possibile, quando l’Inghilterra sarà libera dal giogo dell’Unione europea”, ha scritto Jacob Rees-Mogg che, mentre ha cercato di dare enfasi al taglio delle tasse consistente che la gente dovrà aspettarsi con la Brexit, ha aggiunto: “il lavoro di Johnson non va trascurato. Sta facendo di tutto per sostenere, con impazienza, che la politica del primo ministro è giusta e intende spiegare che l’approccio può solo giovare alla nazione”.
Anche Farage – con un tweet – ha applaudito BoJo, “finalmente qualcuno che ha una visione positiva di quello per cui abbiamo votato”.
Ad aver indispettito gli animi, comunque, è stato anche l’ennesimo affondo di Johnson che ha insistito sul fatto che la Gran Bretagna dovrebbe pagare solo “ciò che è dovuto” all’Ue, e che il conto di trenta miliardi di sterline per due o tre anni, come prezzo per l’accesso preferenziale al mercato unico e per facilitare una nuova partnership commerciale, Bruxelles se lo può pure scordare. “Non dovremmo aspettarci di pagare per l’accesso ai loro mercati più di quanto debbano aspettarsi di pagare per l’accesso ai nostri”, è stata la stoccata dell’ex sindaco di Londra. E quanto all’immigrazione, il ministro degli esteri ha ribadito che le imprese presto “non potranno più utilizzare la scusa dell’immigrazione per non investire nei giovani inglesi”.
E’ in arrivo, dunque, una possibile “resa dei conti” nel governo conservatore tra il primo ministro e Boris Johnson? A noi le cose non sembrano proprio messe male. Intanto, però, la May un puntino sulla ‘i’ lo ha messo: sarà il governo a decidere quale sarà la priorità di spesa di quei soldi risparmiati.