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Tutto quello che non vi hanno detto sullo Ius Soli (e perché, da liberale, sono contrario)

Ius Soli addio. O, quantomeno, arrividerci. La legge che avrebbe dovuto modificare le regole per ottenere la cittadinanza italiana sembra ormai definitivamente saltata per via del no opposto da Alternativa popolare di Angelo Alfano. “Oggi non abbiamo i numeri ma se alle prossime elezioni il Pd avrà una maggioranza numericamente più importante, lo Ius Soli sarà in cima al nostro programma“, ha affermato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi. Eppure c’è ancora chi non si rassegna, come il presidente del Partito democratico Matteo Orfini che ieri ha proposto una sorta di governo a geometrie variabili per arrivare al varo del provvedimento: votarlo, cioè, non con gli ex del Nuovo Centrodestra ma con chi ci sta. Con Sinistra Italiana e magari pure con qualche pezzo del MoVimento 5 Stelle.

Formiche.net ha chiesto un commento al giornalista ed esponente radicale e liberale Marco Taradash, con un lungo passato da deputato anche nelle fila di Forza Italia.

Pensa davvero che, almeno per questa legislatura, lo Ius Soli sia stato definitivamente accantonato?

Penso proprio di sì. E’ saltato perché c’è stato un tardivo ripensamento da parte di Alfano e del suo gruppo: con una certa ipocrisia hanno detto che la legge era buona ma che non era il momento e che si sarebbe favorita la Lega. In realtà credo che il ministro degli Esteri abbia pronunciato queste parole perché, da una parte, è legato al voto della Camera e, dall’altra, alle sollecitazioni della Chiesa.

E il Pd?

Credo che Matteo Renzi dovrà, comunque, accendere un cero a Padre Pio: Alfano lo ha salvato dal perdere una buona percentuale di consensi alle prossime elezioni.

Si tratta di una legge fortemente impopolare a suo modo di vedere?

Lo è ma questo succede anche per le leggi buone e giuste. Peccato che quella sullo Ius soli non fosse né l’uno né l’altro.

Perché lei è contrario?

Intanto bisogna dire che questa sarebbe stata la legge più permissiva di tutta Europa: nel Vecchio Continente non c’è nessun Paese che oggi offra la cittadinanza nei termini brevi previsti da quel disegno di legge. Questo è il primo punto.

E il secondo?

La legge prevede un automatismo condizionato non alla volontà dello Stato bensì a quella della famiglia del bambino. Un aspetto molto delicato perché si dice che, se i genitori risiedono legalmente in Italia da almeno 5 anni, possono chiedere la cittadinanza per il bambino che nasce nel nostro Paese. Questo significa che si lascia ai genitori non solo il diritto di chiedere la cittadinanza ma anche la possibilità di fare una discriminazione all’interno della famiglia. Una coppia potrebbe decidere di chiedere la cittadinanza per il figlio maschio e non per la femmina. Cosa accadrebbe per chi proviene da culture per le quali la sottomissione della donna è la regola?

Ma il disegno di legge introduceva solo lo Ius Culturae – come si afferma da più parti – oppure no?

C’è un stato chiaro tentativo di imbroglio nei confronti dell’opinione pubblica. Di regola, si dice infatti che le condizioni per ottenere la cittadinanza siano la nascita in Italia e l’aver completato un ciclo di studi. Ma non è vero.

Perché no?

Perché, come dicevamo, è sufficiente che i genitori stiano in Italia da cinque anni e che il bambino sia nato qui. Lo Ius Culturae previsto dallo stesso disegno di legge riguarda situazione diverse: bambini nati in Italia ma i cui genitori non risiedano legalmente nel nostro Paese da almeno cinque anni oppure i bambini non nati in Italia. In questi casi per avere la cittadinanza avrebbero dovuto completare un ciclo di studi.

Quindi, secondo lei, il provvedimento non è stato presentato nel suo reale contenuto?

Assolutamente no, anche perché ritengo che sullo Ius Culturae sarebbe stato possibile trovare in Parlamento una maggioranza più ampia. Ma quella legge prevede un meccanismo totalmente diverso.

Però i radicali – Emma Bonino in testa – sono attivamente schierati per il sì allo Ius soli.

Sì ma noi non abbiamo un testo dogmatico, ognuno la pensa come vuole. Io sono contrario anche perché credo che l’integrazione in Italia di chi viene dal mondo islamico richieda qualche precauzione in più. Nel senso che a me non basta sapere che i genitori hanno da cinque anni il permesso di soggiorno regolare. Voglio sapere anche qual è la loro vita e che cosa pensano.

Perché tutte queste precauzioni?

Voglio tutelare i diritti dei bambini che vivono in questo Paese e che hanno una Costituzione che non consente di fare discriminazioni tra uomo e donna ad esempio. O che prevede la laicità dello Stato e, quindi, non consente di applicare le leggi della Sharia al posto delle leggi dello Stato. Se uno vivesse nel mondo ideale dove tutti rispettano la carta dei diritti dell’uomo e della donna benissimo. Ma non è così: chi viene da Paesi dove la religione ufficiale è l’islam – in cui esistono divieti e pene pesantissime per le donne e dove la blasfemia è punita anche con la morte – deve essere in grado di dimostrare che accetta la cultura del mondo più o meno libero.

La proposta avanzata da Orfini la ritiene attuabile? Potrebbe riaprire già in questa legislatura il capitolo Ius Soli?

Non capisco come ci sia possa inventare una cosa del genere. I Mattei del Pd ormai parlano come grillini: Orfini, Richetti e qualche volta pure Renzi dicono cose che non hanno nulla a che vedere con le regole della democrazia parlamentare. Se un governo chiede la fiducia ma una parte della sua maggioranza non gliela dà mentre un pezzo dell’opposizione sì, poi deve presentarsi immediatamente davanti al Capo dello stato. Orfini vuole la crisi di governo? O vuole fare una cosa abborracciata come farebbe un grillino?

Pensa che in fondo Renzi sia contento del no di Alfano e del suo partito?

Non so se lo sia: nel Pd ormai c’è un evidente “cupio dissolvi”. Basta guardare cosa sta combinando in Sicilia. Non so se Renzi se ne renda conto ma ormai, purtroppo, è imprigionato in questo triangolo delle Bermuda dei tre Mattei che sta rendendo il Partito democratico un figurante della politica italiana.

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