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Le riforme di Trump fra annunci e realtà. Parla Alberto Forchielli

Seconda e ultima parte dell’intervista di Formiche.net ad Alberto Forchielli; qui la prima parte concentrata sul commercio internazionale

Veniamo alla riforma fiscale, accusata dall’opposizione di essere costruita ad hoc per i milionari. Quali ostacoli sta incontrando Trump?

L’ostacolo maggiore per la riforma fiscale sono le coperture: Trump non ha i soldi per farla. Lui pensava di abolire l’Obamacare e di spendere i soldi risparmiati abbassando le tasse. Per questo l’amministrazione aveva spinto per il repeal del Affordable Care Act prima ancora di discutere delle tasse.

Non è strano che proprio i repubblicani, che hanno nel dna la riduzione della spesa, abbiano abbattuto l’Obamacare repeal?

No, perché la verità è che gli elettori che hanno votato Trump sono veramente poveri. La maggior parte dei 32 milioni di persone che sarebbero rimaste senza assicurazione ha votato repubblicano. Quando l’amministrazione è arrivata al dunque, i congressmen e i senatori repubblicani nei loro distretti hanno ritrovato un elettorato furibondo.

Perché l’idea di una Border Adjustment Tax (BAT) proposta da Trump è finita su un binario morto?

Hanno provato a presentarla come se fosse una semplice Iva, ma è stato un errore grossolano, perché non c’entra nulla. L’Iva si applica su tutti i beni, sia importati che prodotti domesticamente, non solo sulle importazioni. Istituire una Border Adjustment Tax significa decurtare il potere di acquisto dei consumatori, e dunque penalizzare soprattutto quelli più poveri, cioè quelli che hanno votato per Trump. Significa inoltre decurtare gli utili delle aziende americane, e di conseguenza far crollare la borsa. Il crollo della borsa deprimerebbe l’effetto ricchezza con un ulteriore compressione dei consumi. La border tax non era semplicemente sostenibile, per questo è morta nella culla.

Perché invece Trump non riesce ad abbassare la Corporate Tax come aveva promesso?

La nuova amministrazione ha fatto una bozza di riforma fiscale di cui non si capisce nulla. Adesso stanno tornando alla carica con una riforma fiscale omnicomprensiva, sia della corporate tax che della personal income tax. Sulla prima c’è un problema: la corporate tax americana è una delle più alte al mondo, va dal 35% in su, quindi deve essere abbassata. Le grandi aziende che riescono a trasferirsi a Dublino e a far circolare i soldi al di fuori del paese pagano il 6%. Le piccole aziende, è il caso di un vetraio o di un ristorante, non hanno altra scelta che pagare il 35%.

E la personal income tax?

Quanto alla personal income tax, si sta cercando di arrivare a una semplificazione, perché fare una denuncia fiscale negli Stati Uniti è come scrivere un’autobiografia. Siamo in attesa di vedere la nuova riforma, che in questo momento è tenuta quasi segreta. Il dramma è che non si risparmierà nulla, perché si sarebbe dovuta autofinanziare con l’abolizione dell’Obamacare.

A che punto sta la grandiosa riforma delle infrastrutture da un triliardo promessa da Trump?

Anche per questa riforma non hanno i soldi. Hanno proposto un co-financing program, ma non può funzionare. Da venti anni si porta avanti il discorso per cui le infrastrutture si possono fare anche con i soldi privati. In gergo tecnico si chiama PPP (Public Private Partnership). Si ricorda il famoso piano Juncker da 300 miliardi?

Si, cosa c’entra?

Perfetto, il piano Juncker, con il quale non è stato ancora costruito neanche un cavalcavia e i cui soldi sono stati avocati, supponeva che con 50 miliardi di euro della Banca Europea degli Investimenti (EIB) si sarebbero mobilizzati 250 miliardi di fondi privati. La verità è che questo meccanismo è più facile da annunciare che da realizzare. Non tutte le infrastrutture possono essere messe a tariffa: si può fare con le autostrade, con l’acqua, ma non con le metropolitane e i treni perché sono sussidiati. Venti ani fa si diceva che il futuro sarebbe stato il finanziamento privato delle infrastrutture, ma la realtà è che se oggi i privati arrivano al 5% è tanto.

Un altro cavallo di battaglia di Trump è la deregolamentazione finanziaria. Riuscirà a sostituire la legge Dodd-Frank?

In realtà la Dodd Frank l’hanno congelata. Al Congresso, per la gioia di Wall Street, hanno già fatto diverse modifiche in sordina. Tutte le disposizioni che avevano efficacia fino al 2018 sono state rimandate alle calende greche. Nell’attività di vigilanza e nell’applicazione dei regolamenti l’amministrazione Trump sta riuscendo, bypassando il Congresso, a soddisfare le richieste degli operatori finanziari e industriali. C’è solo Janet Yellen che borbotta dalla FED, ma sono le sue ultime parole perché il suo destino è ormai segnato: quasi sicuramente non verrà riconfermata, il suo posto lo prenderà probabilmente Gary Cohn.

Perché in pochi mesi i principali CEO, come Tim Cook, Elon Musk, Mark Fields, si sono tutti schierati contro Trump?

Il problema non sono i CEO, il problema è la Silicon Valley. Loro hanno sempre avuto bisogno di immigrazione, per questo si sono schierati contro il sistema delle Visa previsto dal Muslim Ban. Diverso è il recente caso di Charlottesville. Quelli che si sono dimessi dal Consiglio dell’Industria lo hanno fatto per una questione di immagine. Quelle aziende hanno clienti, azionisti, e in questo momento Trump fa una pessima pubblicità.

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