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Perché l’Ue, se vuole sopravivere, deve sdoppiarsi. Parola di Sergio Fabbrini

Non l’Europa a più velocità auspicata da Angela Merkel, che è già realtà da diversi anni, ma uno sdoppiamento dell’Unione in due gruppi: l’Eurozona e il resto dei Paesi membri. Questa è la ricetta con cui Sergio Fabbrini (nella foto), professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Luiss e allievo di Giovanni Sartori, propone di riformare l’UE del Trattato di Lisbona. Lo fa nel suo ultimo libro, “Sdoppiamento. Una prospettiva nuova per l’Europa” (Laterza), presentato giovedì al Centro Studi Americani con un dibattito cui hanno preso parte, fra gli altri, Sabino Cassese e Pier Ferdinando Casini.

Il tempismo è perfetto, perché solo il giorno prima il presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker ha pronunciato davanti all’Europarlamento il discorso sullo stato dell’Unione. Con il leader lussemburghese Fabbrini condivide l’idea di una semplificazione delle istituzioni europee, di uscire da quella che lui chiama la “tirannia delle formule ambigue”, e per questo non disdegna la sua proposta di “un solo capitano della nave” alla guida dell’Ue. “Sembra che il presidente Juncker abbia letto il libro di Fabbrini” scherza Kelly Degnan, Chargé d’Affaires dell’ambasciata Usa in Italia, “gli studi e l’impegno di opinion leader come lui promuovono una maggiore comprensione fra Stati Uniti ed Europa”.

Ma il piano dello studioso italiano è più radicale, subisce il fascino del federalismo europeo di Altiero Spinelli e soprattutto dell’esperimento federalista statunitense, “il primo patto per la pace dell’epoca moderna”. Negli States Fabbrini ha trascorso diversi anni di studi in California fra Riverside e Berkeley. Un po’ “come Tocqueville che nella prefazione alla sua Amérique ammette di essere andato in America per capire la Francia”, così lì anni fa Fabbrini ha iniziato a pensare a un modello federalista per l’Europa.

Non scopiazzato dall’esperimento statunitense o tedesco, figli di epoche troppo lontane dal mondo al tempo della globalizzazione. Né tantomeno l’”Europa dei clubs” emersa dalle proposte della Commissione: “capital market union, unione bancaria, Schengen, Eurozona, i cittadini non capiscono chi è responsabile di cosa”.

L’Ue dipinta nel libro di Fabbrini è piuttosto un insieme di cerchi concentrici. La proposta, sulla carta, è semplice. Gli Stati del centro, uniti nell’Eurozona, riprendano la loro corsa verso l’unione politica. Regno Unito e Scandinavia, “che sono entrati nel processo integrativo per ragioni prettamente economiche”, e i Paesi dell’Est Europa, più reticenti alle disposizioni (seppur democratiche) di Bruxelles perché “vengono da un’esperienza di soggezione totalitaria”, godano pure di un’Ue à la carte, che si tratti del mercato comune o di specifiche collaborazioni con il blocco centrale.

“La diagnosi è lucidissima ma la prognosi è sbagliata”. È il verdetto di Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale e professore emerito della Luiss, che si dice “un grande ammiratore della parte analitica” del libro del collega, ma bacchetta le sue proposte, a suo dire troppo severe. Giusto lamentarsi, come fa Fabbrini, della “confusione dei poteri, l moltiplicazione degli ordini legali, degli assetti governativi senza bilanciamenti e della centralizzazione”. Ma riversare tutta la colpa su Bruxelles per il giurista sarebbe poco lungimirante. Perché se lo Stato nazionale esiste da 4 secoli, l’UE ha solo 60 anni: “se ci affrettiamo oggi a modificare questa istituzione, non corriamo il rischio di uccidere il bambino senza la pazienza per aspettarne lo sviluppo?”.

Più critico Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato: quando Juncker propone di fondere i due presidenti dell’Ue non fa che creare “una superfigura che finisce per essere una contraddizione istituzionale” e di certo non trasmette la “convinzione che la crisi sia superata”. Per Casini, se “i partiti populisti galoppano”, ivi compreso En Marche di Macron, “una forma di populismo più raffinato e pro establishment”, la colpa non è di chi ha scelto l’Europa, ma “di una parte della classe dirigente, specie di destra, che prima ha scaricato sull’Ue l’onere delle politiche che non sapeva fare, e oggi fa la caricatura dell’Europa in ogni occasione”.

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