Claudio Cerasa, il direttore del Foglio che Marco Travaglio suole sfottere chiamandolo “ragioniere”, come se i titolari di questo pur dignitoso diploma fossero da buttar via, ogni tanto dà consigli non richiesti al segretario del Pd Matteo Renzi: in genere per raccomandargli Silvio Berlusconi. Che ha col Foglio fondato dall’amico Giuliano Ferrara un rapporto intimo, essendone stato praticamente il primo editore, ricambiato di stima e affetto con la qualifica spiritosa ma non troppa di “amor nostro”, anche quando le fa grosse agli occhi dei “foglianti”, come nell’inverno scorso contribuendo alla bocciatura referendaria di una riforma costituzionale che pure egli aveva condiviso per un certo tratto del suo percorso parlamentare.
Adesso il cruccio di Cerasa, e credo anche di Ferrara, almeno nei momenti in cui non viene distratto dagli affari pratici e teologici di Papa Francesco, è l’indifferenza ostentata di Renzi per l’interesse che ha Berlusconi a una nuova legge elettorale. Che non lo obblighi ad andare al voto, almeno alla Camera, con un listone unico di forzisti, leghisti, fratelli d’Italia e cianfrusaglie centriste nell’assai improbabile tentativo di raccogliere il 40 per cento dei voti e il conseguente premio di maggioranza. Al Senato, certo, il risultato potrebbe essere diverso perché diverse sono le regole, ma un vantaggio a Montecitorio potrebbe aiutare Berlusconi a cercare i voti necessari al centrodestra per garantirsi la fiducia anche a Palazzo Madama.
Che cosa se ne farebbe Renzi – gli ha praticamente e amichevolmente chiesto Cerasa – di un Berlusconi prigioniero della destra leghista e post-missina dopo una campagna elettorale blindata con un listone? In caso di vittoria alla Camera l’uomo di Arcore, poco importa se in prima o per interposta persona per i noti problemi della sua attuale incandidabilità, non potrebbe fare a meno dei suoi alleati. Che, salvo Pier Ferdinando Casini, sono gli stessi ai quali lui ha già rimproverato di non avergli permesso di fare quello che avrebbe voluto negli anni trascorsi a Palazzo Chigi. In caso di sconfitta, diventerebbe complicata la scomposizione della lista unica del centrodestra in diversi gruppi per consentire a quello di Forza Italia di riprendersi libertà d’azione e partecipare col Pd ad una maggioranza che Renzi ha definito “del buon senso”, alludendo proprio ad un’intesa con Berlusconi dettata dall’inderogabile bisogno di governabilità del Paese.
Paradossalmente converrebbe insomma a Berlusconi più una legge col premio virtuale alla coalizione che quella in vigore per la Camera, dove il premio di maggioranza – sempre virtuale, perché francamente sono tutti abbastanza lontani dalla soglia o dal traguardo del 40 per cento dei voti – è assegnato alla lista.
È tuttavia difficile che Renzi possa accettare i consigli del Foglio perché francamente un Berlusconi regista di una lista unica con leghisti e post-missini si scopre sul versante moderato di quel tanto che serve appunto al segretario del Pd per pescare voti al centro: l’unica direzione verso cui egli può crescere dopo la scissione subita a sinistra.
Sono tutti discorsi o ragionamenti, questi, che naturalmente prescindono dalla disgraziata ipotesi – tanto per Renzi quanto per Berlusconi – di una vittoria dei grillini, anche nella versione moderata appena offerta a Cernobbio da Luigi Di Maio, o della loro possibilità di distribuire le carte nella nuova legislatura. Essi strizzerebbero l’occhio alla destra leghista o alla sinistra di tendenza bersaniana, già pronta d’altronde a collaborare col movimento delle 5 stelle all’inizio di questa diciassettesima legislatura, quando l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si mise di traverso.