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Appunti da comunicatore verso la campagna elettorale 2018

Di Francesco Nicodemo
campagna

Tra pochi mesi torneremo a votare e di fatto siamo già in campagna elettorale ma come si affronta questo periodo? Uno sguardo non superficiale su ciò che accade unito all’esperienza del passato più o meno recente possono permettere di stilare, se non una sorta di vademecum di linee guida, almeno un po’ di appunti che possono aiutarci nei prossimi mesi.

Senza alcun dubbio la prima regola di una buona campagna elettorale è dettare l’agenda politica nel dibattito pubblico del Paese, tornando a praticare, per usare una vecchia espressione, egemonia culturale. Ma per fare questo tocca comprendere prima i modi e i luoghi in cui si forma l’opinione pubblica, i quali sono sempre più basati sul modello narrowcasting, cioè su un meccanismo di divulgazione e fruizione frammentata e segmentata dei contenuti. In altre parole, con l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione (rete e social media), ibridati con quelli classici come la radio e la televisione, ciascuno può personalizzare il modo in cui accedere alle informazioni. Non solo possiamo decidere cosa ci interessa maggiormente ma possiamo anche scegliere dove e quando informarci. L’accesso ai contenuti è sempre più personale individuale, solipsista, non solo sui media tradizionali, ma soprattutto sui social network e attraverso la messaggistica istantanea. Se prima bastava guardare un telegiornale per affacciarsi sul mondo, oggi le notizie ci arrivano già filtrate in base ai nostri interessi con un meccanismo reso possibile dalla varietà di mezzi a disposizione, basti pensare alla tv satellitare oppure tramite web o mobile, che affiancano quella digitale terrestre e alla profilazione operata dagli algoritmi in rete. Una parte importante delle informazioni, quelle meno in linea con i nostri gusti o le nostre opinioni, resta tagliata fuori. Anche prima i media tradizionali operavano inevitabilmente un filtro ma oggi questo è diventato più sofisticato e pervasivo. L’informazione è alla base del dibattito pubblico quindi qualsiasi trasformazione che investe la prima condiziona il secondo. Con i social network e la messaggistica istantanea inoltre è molto probabile rinchiudersi in camere dell’eco favorite ancora dagli algoritmi che in sostanza ci propongono ciò che in maniera verosimile ci interessa di più e dove le nostre idee, confermate da chi la pensa come noi, diventano ancora più estreme perché prive di un confronto reale. Provare dunque a raggiungere un pubblico molto più ampio non è impresa facile perché si tratta di rompere queste bolle virtuali e contrastare la polarizzazione su qualsivoglia argomento. A maggior ragione un partito deve parlare dei propri programmi, di idee, risultati e progetti, evitando di fare da cassa di risonanza alle dichiarazioni o alle provocazione dei propri avversari, perché se si parla sempre degli altri, significa che non si ha altro da raccontare agli elettori e si alimenta proprio quella polarizzazione da evitare. Rispettare gli elettori inoltre vuol dire rispettare innanzitutto i propri avversari, quindi niente insulti, né facezie, né ironie. Le persone, disaffezionate verso la politica, mal sopportano questi toni che non fanno altro che aumentare le distanze, non favoriscono la partecipazione, e in breve sono controproducenti.

Inoltre si deve evitare il linguaggio della politica politicante, evitando polemiche ‘metapolitiche’ funzionali solo a riempire le pagine dei giornali o qualche spazio da talk show, che hanno già di per sé pubblici polarizzati, sempre meno determinanti per le sorti elettorali (forse funziona per la visibilità del singolo politico o aspirante tale, ma allontana sicuramente una fetta largamente maggioritaria dell’elettorato). Al contrario il piano deve essere quelli della quotidianità, della fiducia, dell’empatia nelle relazioni con l’opinione pubblica, lasciando a casa il metodo basato su arroganza, supponenza, superficialità e sarcasmo nei confronti delle persone comuni.

L’ultimo rapporto Censis sulla comunicazione dice che stiamo assistendo “all’ ingresso nell’era biomediatica”, caratterizzata dalla trascrizione virtuale e dalla condivisione telematica in tempo reale delle biografie personali attraverso i social network, che sancisce il primato dell’io-utente, produttore esso stesso ‒ oltre che fruitore ‒ di contenuti della comunicazione.’ La comunicazione quindi è diventata sempre di più una dimensione sociale e l’utente vuole essere protagonista. Un partito dunque non deve solo veicolare messaggi ma aspettare risposte e ricercare l’interazione anche sul web. Arrivare nelle camere dell’eco, bucarle, evitare la contrapposizione, interagire: sono le sfide della politica in rete dal momento che Internet è un luogo di discussione, dove l’opinione pubblica si forma e si informa.

La dimensione digitale non deve far dimenticare quella reale, fatta di incontri, persone e storie da ascoltare per essere ancorati al presente, per evitare di parlare in termini teorici. L’agenda politica da dettare prende spunto proprio dagli elettori, dalle loro perplessità e dalle loro richieste, in altre parole non va né copiata, né inseguita, va costruita insieme e raccontata.

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