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Perché leggere “Brexit-La sfida”

establishment

Esiste un’opposizione, una dicotomia che aleggia nei dibattiti pubblici, che entra nel vocabolario della politica e che sempre più spesso viene evocata per spiegare eventi diversi, dalla Brexit all’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti fino all’esito del più piccolo referendum costituzionale italiano. È l’immagine secondo cui la società viene rappresentata come divisa in due grandi blocchi che si fronteggiano: da un lato l’establishment, dall’altro il popolo. L’élite e i cittadini. La Casta e gli esclusi. Gli insider e gli outsider. L’1% contro il 99%.
Come scrisse Carl Schmitt nella Teologia Politica, “tutti i concetti, le espressioni e i termini politici hanno un senso polemico; essi hanno presente una conflittualità concreta, sono legati ad una situazione concreta, la cui conseguenza estrema è il raggruppamento in amico-nemico”.

Una concatenazione di crisi ha modellato la nuova conflittualità politica. Lo scriveva a chiare lettere Francis Fukuyama nel 2008 in un editoriale per Newsweek: “Lo scandalo della Enron, il deficit commerciale, le crescenti ineguaglianze all’interno della società americana, la pasticciata occupazione dell’Iraq, la risposta inadeguata al tornado Katrina erano tutti segnali che l’era Reagan sarebbe dovuta finire molto tempo fa. La crisi di Wall Street, e la poco edificante risposta che abbiamo dato, dimostrano che il più grande cambiamento di cui abbiamo bisogno è nella nostra politica”.

Per il lettore abituale di Formiche.net, Daniele Capezzone è una figura ricorrente per le analisi lucide e taglienti.
Giornalista, saggista, per due volte Presidente di Commissione alla Camera. Fra il 2008 e il 2013 ha ricoperto il ruolo di Portavoce del neonato Popolo della Libertà: un incarico che seppur temporaneo rappresentò la possibilità di accedere a uno strategico punto di osservazione sulle convulsioni della società democratica e il rapporto con il capitalismo durante la crisi dei debiti sovrani.

Capezzone firma con Federico Punzi un’agile raccolta di saggi pubblicata per i tipi di Giubilei-Regnani, pregiata nelle contribuzioni e nelle tesi, con la partecipazione dello storico Niall Ferguson, di David Goodhart e numerosi membri della intellighenzia liberale italiana, intitolata “Brexit: la sfida”, in cui il sottotitolo -“il ritorno delle nazioni e della questione tedesca”- è un abile corollario geopolitico a considerazioni raffinate di filosofia politica, teoria dello Stato e sociologia. Un libello, dicono gli autori nell’introduzione, non pro-Brexit ma anti-anti-Brexit, “cioè ostile ed entraneo al pregiudizio all’esorcismo, alla superstizione contro Brexit”.

E’ nella distinzione alto-basso che origina il voto del Leave: una rivolta contro la Eurobubble e la Westminster Bubble. Nel rapporto tra capitalismo e democrazia, con una riduzione delle possibilità effettive di partecipazione e un mutamento del rapporto tra economia e politica, si vengono a ridurre gli spazi effettivi di partecipazione andando verso quella che Colin Crouch ha definito “post-democrazia”.

Le classi dirigenti economiche e politiche finiscono per essere sempre più isolate rispetto alla società. Non solo: al tempo stesso intensificano i rapporti reciproci ed elaborano un modus operandi e dei linguaggi sempre più affini: una “superclasse” – termine coniato da David Rothkopf – trasversale rispetto ai diversi ambiti che condivide interessi, riferimenti ideali, stili di vita e storie personali.

Huntington descrive i nuovi affaristi e burocrati transnazionali come gente senza senso di lealtà nazionale, incapaci di vedere i confini nazionali se non come ostacoli di cui si auspica la rapida scomparsa e i governi nazionali come dei semplici partners nella conclusione di nuovi affari: sono i prototipi dell’ Uomo di Davos, dalla località in cui si tiene annualmente il World Economic Forum.

David Goodhart ha inquadrato questa lotta fra gli Anywheres e i Somewheres, fra gli Ovunque e i Solo Qui.
I primi sono un gruppo sociale minoritario di persone altamente istruite e mobili, rappresentanti di un’entità contemporaneamente e ugualmente dislocabile in più luoghi, e quindi in nessun luogo. Abitano nelle metropoli globali, hanno studiato nelle migliori Università. I secondi, di numero più ampio, ma molto meno influenti, sono più radicati e meno istruiti, danno valore alla sicurezza e al senso della famiglia, in una profonda situazione di disagio.

Non si tratta di negare i caratteri più esposti della globalizzazione, ma di saper cogliere il fatto che questo fenomeno ha comportato la contemporanea nascita di due umanità differenti – afferma Dario Lioi su centro-destra.it – l’umanità dei cosmopoliti, che sembrano al momento essere i soggetti vincenti, e l’umanità degli uomini radicati, ora in ribellione.

Dice Daniele Capezzone in un saggio dedicato proprio al people vs establishment: “C’è un elettorato bianco (…), di ceto medio o medio basso, di colletti blu o di colletti bianchi, che da anni vede il proprio tenore di vita declinare, e ora addirittura degradare. Brexit ha dato voce proprio a loro, che erano stati per anni estromessi dal discorso pubblico ufficiale e dall’agenda della politica”. E per questo il voto per Brexit è stato visto come lo strumento di una “vendetta” popolare contro quelle “èlites” e quell’establishment”.

Una rivolta che nella Anglosfera ha trovato sbocchi costruttivi alla rabbia dei ceti medi e medio-bassi: in Inghilterra attraverso Brexit, e in America attraverso Trump. Nell’Europa continentale non c’è stata finora – sottolineano gli autori – la capacità di creare percorsi positivi nell’area anti-establishment, ma prevalentemente la costituzione di forze radicali tendenti alla costituzione di un’agenda securitaria e all’emulazione di modelli a “tavolino”.

“Brexit: la sfida” è uno sforzo di rilievo per chi, in Italia, vuole avere delle lenti per comprendere i movimenti tettonici della nostra società.


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