“Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di repubblica?”. La domanda impressa nelle schede elettorali è secca. Peccato che le schede non ci siano e, se qualcuna alla fine sbucherà visto che sono state sequestrate in alcuni casi, sarà stata stampata in proprio dagli elettori: una burla. La Republica de Catalunya, il sogno che la Generalitat ha stabilito di realizzare mercoledì, rimane una chimera. Nel braccio di ferro tra Gobierno di Madrid e govern di Barcellona, il primo ha avuto la meglio. Mancano persino le urne, sequestrate diversi giorni fa, anche se la Generalitat nella conferenza stampa dell’altro ieri ne ha mostrata una, made in China. Diecimila agenti, tra Policia Nacional, Guardia Civil e Mossos d’Esquadra, hanno il compito di tenere i 5,3 milioni di elettori alla larga dai seggi. I centotrenta occupati nel weekend dal popolo in festa non faranno la differenza. L’ordine è di non far celebrare il voto, che il Tribunal Supremo ha dichiarato incostituzionale il mese scorso. Quand’anche qualcuno riuscisse lo stesso a votare, la procura ha chiuso il sistema informatico che dovrebbe gestire il conteggio dei sì e dei no.
Lo psicodramma spagnolo è destinato a smascherare il bluff. Lo era sin dal principio, in punta di diritto. Scrivendo nelle pagine dell’Ispi, Manlio Frigo, professore di Diritto Internazionale all’Università degli Studi di Milano, ha spiegato chiaramente come l’appello catalano al principio wilsoniano dell’autodeterminazione dei popoli non si possa applicare in queste circostanze. Il diritto internazionale, spiega Frigo, stabilisce che quel principio può essere applicato “ai popoli che si trovino in tre situazioni specifiche: i popoli soggetti a dominio coloniale, i popoli il cui territorio è stato occupato da uno Stato straniero e i gruppi minoritari che all’interno di uno Stato sovrano si vedano rifiutare un accesso effettivo all’esercizio del potere di governo”. Niente di tutto vale nel caso della Catalogna, regione autonoma con ampi poteri su svariate materie. La cui volontà secessionista, inoltre, si scontra frontalmente con quanto stabilito dalla Costituzione spagnola del 1978, che parla di “indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli”.
Che il referendum non avesse speranze lo si era capito dal silenzio di Bruxelles, o dalle isolate dichiarazioni degli eurocrati secondo cui si tratta, tutt’al più, di un affare interno della Spagna. L’acrobatico Jean-Claude Juncker, dal vertice di ieri a Tallinn, ha chiuso la questione affermando che “siamo molto impegnati nel rispetto dello Stato di diritto: la Corte Costituzionale spagnola ha emesso una sentenza, il Parlamento ha preso una decisione. Noi ci atteniamo a questo”. Nessuna solidarietà per gli indipendentisti, dunque, da parte di un’Europa che teme un effetto domino, con i tanti pasdaran della secessione che, dalla Corsica alla Scozia, tifano per Carles Puigdemont. Intervistato dal Corriere della Sera, il presidente della regione autonoma di Catalogna ribadisce oggi la linea kamikaze del suo governo. “Abbiamo piani B, C e D”, dice. “Ci conteremo e saremo coerenti”. “Vogliamo votare (…). Vogliamo farlo anche contro i criteri dei tribunali spagnoli”.
Sfida all’ultimo voto, dunque, sempre che qualcuno riesca ad imbucare qualche scheda in urne che nessuno sa se si materializzeranno e in quali seggi. “Un milione di votanti sarebbe già un successo”, urla il capo dell’Assemblea Nazionale catalana Jordi Sanchez. Con un voto espresso da meno del 20% degli aventi diritto, quale legittimità potrebbero rivendicare, gli ultrà della secessione? Le loro armi sono spuntate, anche se incutono ancora timore. Sono, anzitutto, la rabbia per un sistema fiscale che, si sostiene, penalizza i catalani, che ricevono dallo Stato meno di quanto versino nelle sue casse. La Catalogna è una potenza economica: 204 miliardi di prodotto interno lordo, più di quello dei tre paesi baltici messi insieme. Può bastare, per stare da soli? Per quanto possa apparire ammaliante, la prospettiva di una Repubblica indipendente sarebbe disastrosa. Con la secessione, infatti, giungerebbe automatica l’esclusione dall’Unione Europea e dal suo mercato unico, con la prospettiva di un ingresso sbarrata dal sicuro niet della Spagna. Un pessimo affare.