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Che cosa ha detto davvero Papa Francesco ai tradizionalisti

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Nel 25esimo anniversario della costituzione apostolica con cui Giovanni Paolo II accompagnò la pubblicazione del Catechismo Papa Francesco ha parlato di dottrina all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Quello di ieri è stato anche il giorno della memoria di San Giovanni XXIII e Bergoglio lo ha citato, senza dire una parola sulla discussa decisione di farne il patrono dell’esercito italiano, lasciando che la relativa celebrazione avesse luogo fuori dal Vaticano, mai citata neanche durante l’udienza mattutina ai fedeli. Le parole del papa buono scelte da Bergoglio per aprire il suo discorso pomeridiano sono andate dritte al cuore delle discussioni dottrinali di questi mesi: “San Giovanni XXIII aveva desiderato e voluto il Concilio non in prima istanza per condannare gli errori, ma soprattutto per permettere che la Chiesa giungesse finalmente a presentare con un linguaggio rinnovato la bellezza della sua fede in Gesù Cristo. «È necessario – affermava il Papa nel suo Discorso di apertura – che la Chiesa non si discosti dal sacro patrimonio delle verità ricevute dai padri; ma al tempo stesso deve guardare anche al presente, alle nuove condizioni e forme di vita che hanno aperto nuove strade all’apostolato cattolico» (11 ottobre 1962). «Il nostro dovere – continuava il Pontefice – non è soltanto custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera che la nostra età esige, proseguendo così il cammino che la Chiesa compie da quasi venti secoli.»

Il discorso del papa era appena cominciato, ma la risposta del papa ai letteralisti, o ai tradizionalisti che lo accusano di discostarsi dalla dottrina cattolica con Amoris Laetitia era già chiara: non c’è modo migliore per conservare che rinnovare. Basta pensare alla casa di famiglia: conservarne l’essenza ma adeguandola ai tempi, ad esempio inserendo i sistemi di riscaldamento che un tempo magari non c’erano. Chi invocherebbe in questo caso una conservazione “letteralista”?

Bergoglio ha spiegato con precisione millimetrica dove saremmo, noi e lo stesso Vaticano, se i tradizionalisti fossero sempre stati tali. E l’esempio che ha scelto non riguardava i divorziati risposati, la morale sessuale, ma niente di meno che la pena di morte. “ Nei secoli passati, quando si era dinnanzi a una povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto un suo positivo sviluppo, il ricorso alla pena di morte appariva come la conseguenza logica dell’applicazione della giustizia a cui doversi attenere. Purtroppo, anche nello Stato Pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo. Tuttavia, rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli.”

Per chi parla ogni giorno di sacralità della vita, dal concepimento alla morte naturale, queste parole sembrano fatte apposta per riflettere. Quella di un condannato a morte, quando viene giustiziato, non è una morte naturale. Ma a Bergoglio non interessa “colpire”, interessa ribadire il primato della misericordia sulla “giustizia”. Il legalismo letteralista può portare a perdere di vista l’uomo d’oggi, il suo contesto sociale, la sua sempre mutante realtà. Seguirlo in questo mondo, in questo contesto, vuol dire affiancarlo, amarlo, accompagnarlo. Così non ha risposto entrando nel rapporto “evolutivo tra l’enciclica di Giovanni Paolo II, la Familiaris Consortio, che oggi alcuni usano come una clava contro di lui, e l’esortazione apostolica Amoris Laetitia. Possibile dimenticarsi  che ai tempi di Familiaris Consortio il codice di diritto canonico, poi profondamente cambiato, definiva i divorziati risposati “pubblici infami”? Dunque quell’enciclica, rompendo con una secolare tradizione, riconosceva che i divorziati in seconda unione, i quali per vari motivi non possono tornare ai rispettivi matrimoni ormai falliti, potevano accedere ai sacramenti se si impegnavano a vivere come fratello e sorella, cioè astenendosi dai rapporti sessuali. Ma l’innovazione di Giovanni Paolo II non smentisce in sé l’idea di “immodificabilità”? Non è a sua volta modificabile? Questa decisione in quel momento rappresentava una importante novità. Va tenuto presente che se due divorziati risposati convivono come fratello e sorella non risulta scritto all’anagrafe, lo affermano loro, di propria volontà! E allora, registrata la grande novità introdotta da Giovanni Paolo II, che I divorziati risposati disposti a vivere come fratello e sorella sono accolti nella comunità cristiana e possono partecipare all’eucaristia, non è lecito progredire, procedere, capire meglio, e stabilire che sta a chi li conosce, a chi viene a contatto con la loro storia, la loro condizione, il loro dramma, il loro fallimento, il loro dolore, la loro speranza, stabilire se possano accedere ai sacramenti?

Infatti il grande “strappo” di Amoris Laetitia in cosa sta? Sta qui: “La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, «possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione». Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù, in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: «Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù».

Incagliata da decenni in questa discussione, come in quella sull’uso degli anticoncezionali, la Chiesa con Bergoglio ritrova la forza per guardare i suoi figli.  “La Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare. Questa legge del progresso secondo la felice formula di san Vincenzo da Lérins, «annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate» (cioè  «progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età») appartiene alla peculiare condizione della verità rivelata nel suo essere trasmessa dalla Chiesa, e non significa affatto un cambiamento di dottrina.”

Se si tiene conto dei tempi in cui viviamo, delle paure che ci circondano e ci condizionano, si capirà che l’approccio di Bergoglio è quello che può consentirci di uscire dal tunnel.



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