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Che cosa penso del separatismo alla catalana

Daniele Capezzone Taxi

Chi scrive ha il cuore e la mente divisi sulla vicenda della Catalogna. Da un lato, credo profondamente nel diritto dei popoli a scegliere il proprio destino, nell’autodeterminazione, nella democrazia (tutte cose che non possono essere accettate solo volta per volta, se l’esito corrisponde ai nostri orientamenti politici e culturali…); dall’altro, ho fortissima disistima per la linea socialista-terzomondista di buona parte del ceto politico catalano, che ha peraltro mostrato in questa vicenda anche una drammatica carenza sul piano tattico (non parlo neppure di strategia).

Ma vi prego di mettere tutto questo da parte. Dimenticate queste mie nuances, queste sfumature e sfaccettature. E dimenticate anche le posizioni più nette, da una parte o dall’altra: gli indipendentisti o gli unitari senza se e senza ma. Insomma, lasciate da parte il merito di questa incandescente vicenda, comunque la pensiate. Anche perché ci sono ragioni rispettabili da ambo le parti.

Concentratevi invece sul metodo, sulle procedure, facendo un confronto con quanto avvenne un paio d’anni fa nel Regno Unito dinanzi al separatismo scozzese. Vicenda altrettanto drammatica: se lo United Kingdom avesse smesso di essere “united” – appunto – sarebbe stata una frattura epocale. Eppure, in quel caso, si seppe mettere in campo una trattativa, fu consentito lo svolgimento del referendum, e naturalmente i sostenitori dell’unità lavorarono perché le posizioni separatiste rimanessero minoritarie. Ma tutti – gli uni e gli altri – si rimisero alla scelta del popolo: in democrazia, non è stato ancora inventato nulla di meglio.

Ognuno faccia il paragone con le vicende spagnole. Ne emergerà un confronto quanto mai chiaro (e per noi doloroso, a tratti perfino umiliante) tra il modello anglosassone e il modello europeo-continentale.


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