Mentre le disuguaglianze aumentano, il welfare diminuisce, e la Chiesa, da curatrice di anime, ne diventa sempre più stampella. Da provvidenza divina a previdenza sociale. Crescono infatti negli ultimi anni gli stanziamenti dei vescovi italiani per le opere di carità assistenziale, aumentati del 60%, dai 90 milioni di euro del 2009 ai 150 del 2017, ai quali si sommano i 40 milioni per le “esigenze di rilievo nazionale” e gli 85 per “la cooperazione nel Terzo Mondo”.
L’ARTICOLO DE LA STAMPA
È quanto si legge sul quotidiano La Stampa che ha pubblicato un approfondimento a firma dei giornalisti Giacomo Galeazzi e Andrea Tornielli. Il punto, come spiegano i diversi osservatori interpellati, è che in maniera crescente la Cei, la Chiesa italiana, si è presa carico delle tensioni e delle sofferenze sociali generate dalla crisi economica e, in conseguenza di ciò, ha dato vita a una radicale revisione delle proprie priorità, andando a cercare non tanto (o non solo) le situazioni più svantaggiate dal punto di vista economico, ma anche da quello umano: persone sole, che vivono nelle periferie o che dormono sui marciapiedi, disabili, stranieri, soggetti con alle spalle le situazioni di vita più difficili e complesse.
IL COMMENTO DEI VATICANISTI
“Per il Giubileo del 2000 furono costruite decine di nuove chiese nelle periferie urbane. La priorità ora sono le infrastrutture assistenziali. Una scelta strategica non priva di effetti e reazioni sul territorio”, chiosano i vaticanisti del quotidiano diretto da Maurizio Molinari.
IL LAVORO SOCIALE DELLA CHIESA
In Italia le parrocchie sono 23 mila, e i servizi sociali di prima necessità migliaia: mense, dormitori, ambulatori, collette, prestiti finanziari. La Chiesa è poi determinante soprattutto nel campo della distribuzione alimentare, e specialmente ai senza fissa dimora, che le cifre dell’Istat riportano essere 55 mila nelle città con più di 80mila abitanti. Sono loro i soggetti deboli che si rivolgono alle parrocchie e alle diocesi, magari passando prima per i banchi della messa la domenica. Perché, in fondo, non ci si scorda che non di solo pane vive l’uomo, ma ciò non significa che ne possa fare a meno.
I NUMERI DELLE INIZIATIVE
Tra i contributi approvati nell’ultimo anno dalla Cei, 5 milioni di euro sono andati a 53 progetti per le famiglie, 3,2 alle persone senza fissa dimore, 2,2 ai disoccupati, 1,9 agli immigrati, 700 mila agli ex detenuti, oltre a 16,5 per il sostegno a bisognosi segnalati dalle diocesi e 7,5 alle iniziative anti-crisi. Sono 4488 i centri ecclesiali che erogano beni primari, 3547 i centri di ascolto, 245mila gli interventi di orientamento e consulenza per disoccupati e famiglie bisognose. Le microimprese finanziate nel 2016 sono 473, 150 i progetti di servizio civile di 88 Caritas diocesane, per 1200 posti, e 28 i bandi finanziati per un anno di volontariato sociale giovanile.
LA CRISI DEI MIGRANTI
Negli ultimi anni poi, in corrispondenza dell’emergenza sbarchi e del fenomeno delle migrazioni, la Chiesa ha accolto decine di migliaia di migranti all’interno delle proprie strutture, ospitandoli fin dentro le stesse chiese, con giovani africani venuti in Italia a trovare pace e lavoro che sistemano, giusto sotto l’altare, il cuscino e la coperta donate loro dal parroco. Il che non piace a tutti, in particolare ai sindaci che bloccano la disponibilità dei propri locali per ospitare migranti e si vedono in qualche modo sorpassati dalla Curia, che al contrario mette a disposizione le proprie strutture. E nei quartieri, che sono quelli a cui rispondono i sindaci, si creano tensioni, paure e risentimenti, fino a che non accadono fatti spiacevoli di cronaca. Liti, scontri, accoltellamenti, l’ultimo ieri al mercato di Torino. E così prendono vita proteste, manifestazioni, petizioni contro l’accoglienza. “Le strutture di accoglienza soffocheranno il quartiere”, dice a La Stampa una residente di fronte a un centro Caritas.
PASTORALE E CARITÀ IN PROVINCE E CITTÀ
Molto di questo lavoro avviene nel tessuto degli agglomerati urbani. Se infatti nelle provincie le parrocchie continuano, con tutte le difficoltà del caso, a dire messa e a svolgere con serenità il proprio lavoro pastorale, è nelle città, di media dimensione fino alle metropoli, che ci si impegna maggiormente nel sociale. A Roma, ad esempio, è forte il sostegno della Caritas, oltre che nelle mense, agli anziani e alle persone sole nei quartieri periferici, assieme anche a quello con i minori stranieri non accompagnati, svolto anche dall’università Cattolica. A Milano vi sono contesti come quello di un rifugio notturno che accoglie ogni notte cento clochard, a Torino il progetto “Chicco Cotto” affianca le famiglie dei disabili, a Verona la casa “Braccia aperte” offre rifugio alle ragazze madri. A Jesi la Caritas ha messo in piedi un’intera palazzine dedicata all’offerta di servizi di assistenza e segretariato sociale, e a breve apriranno due dormitori. A La Spezia il servizio “Cittadella della pace” accoglie famiglie in difficoltà, minori, ex detenuti, senza fissa dimora e migranti, a Ragusa il piano anti-disoccupazione offre corsi formativi per la creazione di piccole imprese, a Foligno la Taverna del Buon Samaritano distribuisce tutto l’anno, per mano di 150 volontari, 120 pasti al giorno. A Perugia, documenta ancora l’articolo de La Stampa, l’emporio Sorella Provvidenza fornisce la spesa a 400 famiglie indigenti.
I BUONI ESEMPI
Le esperienze di buoni e meritori esempi, riportate dai due vaticanisti, sono poi numerose: c’è l’iniziativa “Gaudium” di Mondovì per il disagio psichico, il coordinamento regionale sulla salute mentale di Lamezia Terme, lo sportello gratuito di cure salvavita, orientamento legale e distribuzione dei farmaci di Tempio Pausania, la bottega solidale “5 pani” di Lucca che offre prodotti alimentari recuperati nelle aziende locali della filiera del cibo. La diocesi di Spoleto-Norcia ha riconvertito un’intera area, a Borgo Trevi, per l’auto-sostentamento di famiglie in difficoltà, con coltivazioni e frutteti. Per non citare poi il meritorio (e silenzioso) lavoro della fondazione “Migrantes”, con 1500 operatori, 750 comunità etniche e 17 coordinamenti nazionali, che integrano 5 milioni di immigrati presenti sul territorio, e si occupano di 180mila Rom.
L’EMERGENZA TERREMOTO
Infine l’emergenza terremoto, per il quale la Caritas, nel caos e nei ritardi della ricostruzione, ha messo a disposizione 25 milioni di euro, realizzando container, prefabbricati e strutture, assieme a prestiti, sussidi e microcrediti. “In provincia di Rieti sono stati consegnati dalla Caritas moduli abitativi a 45 famiglie e 12 allevatori”, riporta La Stampa. “Ad Esanatoglia la diocesi di Camerino ha costruito una struttura di accoglienza per gli studenti universitari fuori sede, ad Amatrice è stato ampliato il cimitero con donazioni e collette”.
GALANTINO: “LA CHIESA NON SUPPLISCE MA AIUTA UN WELFARE CARENTE. E ASCOLTA I BISOGNI”
Intervistato dal quotidiano torinese, il segretario della Cei Nunzio Galantino (nella foto) ha affermato con decisione che “finché ci sarà anche solo un bisognoso che ha fame o è senza un tetto, non avremo mai fatto abbastanza”, e che in questo modo la Chiesa “non direi che supplisce” a un welfare carente, “ma che lo aiuta. Il miliardo di euro che viene assegnato alla Chiesa con l’otto per mille viene restituito per 11 volte tanto in servizi sociali al Paese. E non è una stima fatta da noi”. E “quando qualcuno bussa a un centro Caritas, viene accolto, ascoltato, accompagnato”, ha concluso il segretario della Cei. “Il sostegno non è mai solo materiale, le persone hanno bisogno di sentirsi amate. I criteri sono decisi volta per volta, caso per caso, bisogno per bisogno”.