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Codice antimafia, Banca d’Italia e non solo, chi impapocchia leggi e mozioni?

Sergio Mattarella

Nei giorni scorsi, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha evidenziato alcuni “profili critici” in occasione della firma per la promulgazione del nuovo codice antimafia, invitando il governo a mettere nuovamente mano al testo per modificare alcuni aspetti relativi alla cosiddetta “confisca allargata”. Il nuovo codice, infatti, non include alcune fattispecie di reati molto gravi, ad esempio terrorismo internazionale e reati informatici, che erano invece state inserite l’anno prima in un altro provvedimento e in attuazione di una specifica direttiva dell’Unione europea.

Non è la prima volta che un Presidente della Repubblica solleva rilievi a provvedimenti dell’esecutivo o del Parlamento. Basti ricordare che Giorgio Napolitano, durante il governo Berlusconi, non firmò la riforma del diritto del lavoro e neppure il decreto legge sulla vicenda Englaro. Più in generale, esperti costituzionalisti osservano, da diversi anni, la pericolosa deriva che ha preso il nostro processo di formulazione e approvazione delle leggi. Basti ricordare che Michele Ainis, già nel 1997 denunciò in un interessante pamphlet il fenomeno della cosiddetta “legge oscura”, dove l’oscurità nascondeva la profonda approssimazione nella scrittura dei testi legislativi, l’assenza di analisi e dati a sostegno dei provvedimenti, gli errori materiali e soprattutto l’incomprensibilità della scrittura per qualsiasi cittadino, anche quello più “attrezzato” culturalmente. Le ragioni di questa deriva, che appare inarrestabile, sono diverse e ognuna andrebbe valutata attentamente. Ne elenco solo un paio.

La prima, a mio avviso, risiede nell’effetto di spostamento dell’epicentro del processo decisionale sul governo. Spostamento che ha, di fatto, cancellato il ruolo geometrico e di composizione degli interessi che veniva svolto dal Parlamento. Se abbiamo una cattiva qualità delle leggi, è dovuto anche al fatto che i governi, spinti dall’esigenza di attuare tempestivamente l’agenda politica o di dare risposte immediate a sentimenti diffusi nell’opinione pubblica, utilizzano la decretazione d’urgenza, dove spesso l’urgenza sta per fretta. La fretta, si sa, è nemica del bene ed è ancor più nemica se in un provvedimento sono inserite tante disposizioni eterogenee fra loro (leggi omnibus). Se poi durante l’esame, il provvedimento viene trasformato in un maxi-emendamento composto da un solo articolo e centinaia di commi, sul quale viene posta la questione di fiducia, le probabilità di errori o strafalcioni sono ancora maggiori. Tutto si comprime e tutto diventa forma a scapito della sostanza. Termini per la presentazione di emendamenti ridotti a poche ore, audizioni compresse in pochi minuti e un monocameralismo di fatto, perché non c’è tempo per la seconda lettura del provvedimento.

Ricordo che procedere rapidamente ha anche la conseguenza di non consentire agli uffici di staff dell’esecutivo né ai funzionari parlamentari di poter predisporre serie analisi d’impatto. Gli staff tecnici, che dovrebbero attuare la scelta politica in una norma corretta e coerente, restano ai margini.  E ancora, sempre per la fretta, si sceglie di utilizzare in maniera pervasiva e devastante la tecnica della novellazione. Si tratta di norme dove, anziché riscrivere chiaramente e daccapo la modifica proposta, si preferisce volutamente indicare solo l’articolo, il comma o il periodo che viene appunto novellato. Cosicché il risultato finale è avere delle norme che sono completamente illeggibili e che escludono il cittadino dal poter comprendere il significato e soprattutto le conseguenze del dispositivo.

Di novella in novella, di modifica in modifica, abbiamo costruito una babele di leggi, spesso inutili e inattuate. Si tratta, a mio avviso, di un fatto grave, un vulnus della democrazia e che ha un costo enorme per il Paese. Secondo aspetto: il Parlamento fa le leggi, almeno in teoria. Su questo dobbiamo avere l’onestà nel riconoscere che questa istituzione è stata mortificata negli ultimi vent’anni e più. La si è voluta far passare come il luogo dove tutto si ferma per impedire all’esecutivo di turno di poter cambiare il Paese e così ne abbiamo svilito il ruolo. I dati di produttività del nostro Parlamento sono assolutamente in linea con quelli di Paesi europei a noi più vicini. Il tema, quindi, sembra essere più la qualità di ciò che approva, che non i tempi. Qualità che dipende anche dal profilo delle persone che vengono elette. Purtroppo, grazie a leggi elettorali bizzarre, abbiamo delegato ai partiti la nomina dei parlamentari, dimenticando che i partiti, se proprio devono nominare i parlamentari, andrebbero sottoposti prima a regole adeguate sulla trasparenza e democraticità interna. Evidenzio che un parlamentare politicamente debole è più facilmente “catturabile” dalle lobby, proprio perché non è adeguatamente attrezzato per dialogare alla pari con i gruppi d’interesse.

Infine, restando in tema di partiti, occorre ricordare che una volta il partito politico aveva personale competente che lavorava alla stesura di proposte di legge, preventivamente studiate e condivise con i corpi sociali di riferimento. Le proposte più importanti andavano a far parte del programma di governo e portate all’attenzione del Parlamento. Attività che oggi non sembra essere rilevante perché il fenomeno del leaderismo politico tende a preferire lo slogan o a copiare (male) cose che funzionano in altri contesti. Sarà pure un segno dei tempi ma che oggi mozioni importanti, come quella su Banca d’Italia, si discutano istituzionalmente su chat, appare, a chi scrive, quantomeno discutibile.

Insomma, il modus operandi sembra più da fast food della legislazione, dove la rapidità prevale sulla qualità. Una modernizzazione delle istituzioni e dei processi decisionali è sì necessaria ma non con l’obiettivo di conquistare poteri o scorciatoie per escludere i cittadini, semmai con quello di aumentare la loro partecipazione e migliorare la qualità delle politiche. La credibilità delle istituzioni si misura con ciò che fanno e non con ciò che dichiarano di essere. Abbiamo bisogno di meno leggi e di maggiore qualità. Abbiamo bisogno di slow food.

 

 

 


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