Un confine sottile, sottilissimo, divide big data dalle regole Antitrust. Da una parte Facebook, Google, Amazon e Whatsapp, dall’altra la tutela della concorrenza e della privacy. Due mondi così lontani ma che al giorno d’oggi devono necessariamente tendersi la mano e andare d’accordo. Della questione si è parlato questa mattina nel corso del seminario Economia digitale e big data, organizzato a Roma dall’Autorità per la concorrenza e il mercato e moderato dal direttore Relazioni Esterne dell’Antitrust, Roberto Sommella, interamente dedicato al complicato rapporto tra consumatori e gigantesche piattaforme web che ogni giorno catturano miliardi di dati personali per sfruttarli a proprio favore.
CONCORRENZA O PRIVACY?
All’incontro era presente buona parte del collegio Antitrust, rappresentato dai due direttori Andrea Pezzoli (concorrenza) e Giovanni Calabrò (tutela del consumatore). Il punto di partenza è che i cosiddetti big data faticano ad adeguarsi alle regole in materia di privacy. Con milioni di dati incamerati ogni giorno, riescono a tracciare un profilo completo di abitudini e consumi degli utenti. Si potrebbe benissimo intervenire ma, e qui sta il ragionamento di Pezzoli, bisogna farlo in punta di piedi per non violare il diritto alla concorrenza e passare dall’altra parte della barricata. Di qui, ha spiegato Pezzoli, la sfida dell’Authority guidata da Giovanni Pitruzzella (nella foto) di muoversi sul doppio binario della tutela del mercato libero e della protezione dei dati personali.
IL CASO WHATSAPP
I casi specifici sono stati invece portati alla luce da Calabrò il quale ha fatto l’esempio di Whatsapp la quale, essendo proprietà di Facebook, ha più volte celato agli utenti il trasferimento dei dati dall’app di messaggistica al social network. L’Antitrust si è mossa con due istruttorie, concluse, le quali a loro volta hanno innescato un’istruttoria più grande a livello europeo, la quale ad oggi deve ancora partorire i propri effetti su Whatsapp.
TENERE GLI OCCHI APERTI
Sulla questione è intervenuto anche il costituzionalista e commissario Antitrust, Michele Ainis. Il quale ha chiarito ancora meglio il ruolo dell’Antitrust. “L’Autorità deve avere una bussola e tale bussola si chiama equità. Lavorare per esempio sugli algoritmi che permettono ai big data di intercettare i bisogni delle imprese di un determinato settore. Perché bisogna ricordare una cosa. Il vero guadagno dei big data è nel fatto che solo facendo una ricerca sul web, su Google, immediatamente dopo vengono incamerati milioni di dati dell’utente. Dobbiamo tenere gli occhi aperti”.
L’INDAGINE DEL GARANTE
“L’indagine dell’Antitrust è volta ad individuare eventuali criticità connesse all’uso dei ‘big data’ e la definizione di un quadro di regole in grado di promuovere e tutelare la protezione dei dati personali, la concorrenza dei mercati dell’economia digitale, la tutela del consumatore, nonché i profili di promozione del pluralismo nell’ecosistema digitale. Sul quale in questa fase interlocutoria, dove questo sistema è ancora oggetto di indagine, l’opzione regolatoria comporta dei rischi”, ha sottolineato la componente del Collegio dell’Agcm, Gabriella Muscolo, “mi pare quindi piu’ opportuna in una fase come l’attuale l’opzione di affrontare la questione caso per caso da parte dell’Autorità. E infatti a livello internazionale figurano piu’ interventi di enforcement sui singoli casi che interventi regolatori”.