A Di Martedì la performance di Piercamillo Davigo ha ottenuto – in alcuni momenti – il picco degli ascolti. L’ex presidente dell’Anm è bravo, ha la risposta pronta ed efficace, riesce a sottrarsi alle domande che potrebbero metterlo in difficoltà . Insomma “buca lo schermo”. Del resto, a dire la verità, il curriculum professionale del dottor. Davigo non è contrassegnato dagli incidenti giudiziari che contraddistinguono quelli di molti suoi colleghi. Martedì scorso ha ripetuto la solita teoria: se non sono i partiti a fare pulizia in presenza di riscontri evidenti, tocca farla al giudice. Varrebbe la pena di ricordare al dr. Davigo che spesso – dopo anni – il giudice assolve gli inquisiti dalle Procure; ma per una persona – specie se ha incarichi pubblici – benché riconosciuta non colpevole, quella vicenda ha significato la fine della carriera e la morte civile. Nel dibattito, tra i casi di “perseguitati per causa della giustizia” (come dice il Vangelo), è emersa la vicenda di Filippo Penati, il quale non solo è stato processato e assolto in primo grado e in appello, ma venne anche messo da parte dal partito (da cui si era correttamente autosospeso). È a questo punto che, a mio avviso, Piercamillo Davigo ha avuto una caduta di stile (la si è notata anche dal tono della voce), quando ha attribuito a Penati, come a qualunque altro politico che si avvalga della prescrizione, un comportamento non conforme ai principi di dignità e di onore richiesti dalla Costituzione. Ma dove sta scritto che sia un disonore avvalersi di una prerogativa riconosciuta dall’ordinamento proprio in nome della certezza del diritto? E’ consentito ad un magistrato che si dichiara ossequiente alle leggi di forzarne l’interpretazione fino a questo punto? Al posto di Penati io mi sentirei offeso, per di più in pubblico. Con tutte le conseguenze del caso.
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Un suggerimento a Giovanni Floris. La prossima volta, magari, chieda al dr. Davigo che cosa pensa delle considerazioni autocritiche del suo ex collega Antonio Di Pietro.
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Corre voce che i partiti(ni) e i movimenti alla sinistra del Pd pensino di unificarsi sotto un nuovo nome: Arcipelago Progressista. Nel simbolo metteranno l’immagine delle Filippine.
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Anche nelle rottamazioni c’è un punteggio qualità determinato da chi è il rottamatore. Un conto è essere indotti a farsi da parte da un Matteo Renzi “lanciato a bomba” a prendere il potere; tutt’altro paio di maniche è essere invitati – come è capitato a Massimo D’Alema – ad uscire di lato da un Giuliano Pisapia che a quel ruolo si è promosso da solo.