Che cosa pensano le aziende italiane dell’istituzione a livello europeo di un fondo per la Difesa? Questa mattina l’Aiad, l’associazione delle imprese italiane dell’aerospazio, difesa e sicurezza, è stata ascoltata dai deputati della commissione Difesa proprio in merito alla recente decisione con cui a giugno Bruxelles ha istituito un veicolo finanziabile con i soldi dei contribuenti per aumentare il livello di protezione dell’Ue.
IL FONDO PER LA DIFESA
La mossa della commissione si inserisce negli approfondimento sul più ampio programma europeo per la Difesa, mentre è partita una fase di studio tra Francia e Italia in campo militare a latere dell’accordo Fincantieri-Naval sui cantieri Stx di Saint Nazaire. Il meccanismo del Fondo prevede una dotazione complessiva pari a 500 milioni di euro per il 2019 e il 2020 e di 1 miliardo all’anno per gli anni a seguire. Risorse con cui incentivare i finanziamenti nazionali con un effetto moltiplicatore (come per il piano Juncker) per generare investimenti complessivi nello sviluppo di capacità di difesa pari a 5 miliardi l’anno dopo il 2020.
L’ALLARME DELLE AZIENDE ITALIANE
Operazione che però preoccupa le imprese italiane del settore. In commissione il presidente di Aiad, Guido Crosetto (ex sottosegretario alla Difesa nel governo Berlusconi IV) ha espresso il timore per “una razionalizzazione dell’industria europea, perché significa sostanzialmente ridurre il numero di prodotti e conseguentemente di produttori, e, se non governata in modo forte da un sistema Paese determinato, rischia di fare della nostra industria di settore il vaso di coccio”. Il timore delle aziende tricolori è che la creazione di una Difesa europea possa tagliare di fatto fuori dal mercato le imprese italiane “che si ritroverebbero scavalcate da quelle molto più grandi di Francia e Germania”.
UN MERCATO IMPREPARATO
Non solo: “Il nostro timore – ha aggiunto Crosetto – è di vedere se il sistema Paese è pronto a una rivoluzione a 360 gradi di questo tipo. Per esempio, pensare a un unico investitore europeo in questo settore significa non solo avere pronte le aziende ad una competizione molto più forte, ma significa avere pronto l’intero sistema Paese, i funzionari, la burocrazia, il sistema finanziario, ma anche le regole, fiscali e burocratiche. Sostenere questo cambio significa anche adeguare il bilancio italiano alle percentuali di Pil investito dai nostri “competitor” industriali, per non lasciargli vantaggi irrecuperabili”.
EFFETTO CASCATA SULLA DIFESA
La Difesa “è in Italia uno dei pochi settori industriali ad alto contenuto tecnologico, sopravvissuti, con migliaia di ingegneri, tecnici ed esperti che non troverebbero ricollocamento in Italia. Pensare a un’Europa della Difesa vuol dire entrare in un mercato più grande, più competitivo e più “selvaggio”, un mercato dominato da altri perché sono attualmente più grandi di noi, con conseguenze potenziali che, se non affrontate già oggi, rischiano di essere anche molto gravi”, ha rimarcato l’ex sottosegretario. In altre parole, è il monito di Crosetto, si va inevitabilmente incontro a una Difesa comune europea che “rischia di parlare, visti gli attuali rapporti di forza e visti gli accordi già intercorsi tra Macron e la Merkel, più che altro francese o tedesco. E se le grandi aziende italiane avranno delle difficoltà, ne risentiranno anche quelle piccole, legate inevitabilmente agli affari delle sorelle maggiori”.
UN PROBLEMA DI SOLDI?
C’è un’ultima incognita che mette in apprensione l’Aiad. Il fatto che la creazione di una politica industriale della difesa europea si traduca per l’Italia anche in un “competere con nazioni che hanno percentuali di Pil investite nel settore maggiori di noi e che investono 10 o 20 volte in più di noi in ricerca e sviluppo”. Dunque, per rimanere in scia al progetto di Difesa comunitario occorrerebbe fare “una scelta che imporrebbe nel nostro bilancio livelli di investimento in ricerca ed in acquisizioni, molto superiori agli attuali, a meno che non si scelga di uscire dalla difesa regalando ad altre nazioni fette industriali in uno dei pochi settori ad alto contenuto tecnologico nel quale ancora abbiamo una presenza industriale”.