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Ecco come Eni e Saipem non russano con Rosneft

Ogni volta che la danno per spacciata Saipem riesce a tirare fuori un coniglio – o meglio un contratto – dal cappello, che le permette di rialzare la testa. È quello che è successo pochi giorni fa quando al decimo Forum euroasiatico di Verona è stato annunciato un accordo di cooperazione fra il gioiello di casa Eni (e sopratutto di Cassa depositi prestiti, cioè lo Stato, noi) e il colosso petrolifero russo Rosneft. E il mercato ha reagito come ci si potrebbe aspettare, ridando fiato al titolo della controllata del cane a sei zampe.

Cosa dice il documento che hanno firmato l’amministratore delegato di Saipem, Stefano Cao, e il suo omologo russo Igor Sechin (in foto)? Che le due società collaboreranno in vari settori, tra cui i servizi in campo petrolifero, la localizzazione del lavoro di progettazione e ingegnerizzazione in Russia e la cooperazione allo sviluppo di nuove tecnologie. Inoltre potrebbe essere creato un centro di ingegneria congiunto. Perché l’accordo funzioni al meglio, Rosneft e Saipem hanno già previsto di mettere in piedi un team che si occuperà di precisare i termini commerciali della cooperazione.

Non male per una società sulla quale gli esperti di Mediobanca (noto salotto o ex salotto buono d’Italia) avevano dichiarato, appena pochi giorni prima, un giudizio neutrale riducendo comunque da 4,5 a 3,9 euro il target price. Spiegando la decisione con un giudizio meno ottimista sul titolo.

Ebbene, lasciata alle spalle l’analisi negativa di Mediobanca e viaggiando sulla spinta della fiducia del mercato azionario, la Saipem si prepara a cooperare con il gigante russo – le cui azioni, va da sé, sono per la maggior parte nella cassaforte dello Stato – grazie a XSIGHT, divisione appena nata, e destinata ai servizi ad alto valore aggiunto. Tutto alla luce di una riorganizzazione che ha rivoluzionato l’azienda e che portato tra l’altro il cuore dell’ingegneria offshore a Parigi.

Tutta l’operazione non nasce all’improvviso, come è facile intuire: Rosneft ha iniziato una partnership con Eni nel 2012, che ha avuto come effetti l’attività di estrazione nel Mar Nero e nel Mare di Barents, sull’Artico. E ancora una volta il Mar Nero sarà il ‘campo’ dove opererà la nuova collaborazione con Saipem, con l’inizio delle perforazioni previsto fra fine dicembre e inizio di gennaio. Se ce ne fosse bisogno, è l’ennesima conferma che non esiste Saipem senza Eni ma anche che Eni senza Saipem non può dispiegare tutto il suo enorme potenziale.

Oltre al chiaro beneficio economico, la partnership fra Eni, Saipem e Rosneft potrebbe incidere anche sulla vicenda dell’arbitrato davanti alla Camera di Commercio di Parigi per la soppressione del South Stream, che ancora non è stato risolto? Potrebbe infatti essere letta anche come un segnale distensivo con Gazprom – la società con cui Saipem è in vertenza – cioè la società che detiene la proprietà delle pipeline che si dipanano dai permafrost russi che trasportano il gas naturale verso l’Europa e, tra breve, con Power of Siberia, anche verso la Cina.

Una ‘distensione’ che farebbe bene all’Europa, a detta di molti osservatori presenti al forum veronese, che continua a soffrire gli effetti della “Guerra fredda parte seconda” o ” Guerra europea del gas”.

Le sanzioni decise dagli Stati uniti, sono ancora lì a rendere difficili gli accordi per la commercializzazione dell’oro azzurro.

E come ha riassunto il professor Prodi, «L’imprevedibilità di Trump e le sanzioni made in Usa consegnano la Russia all’Asia. Ad essere massacrata è l’Europa, che deve recuperare compattezza e autonomia per non pagare il prezzo degli scontri altrui. Demolire l’Eurasia significa costruire una Russasia: la concretezza storica dell’economia può arginare le follie contemporanee della politica».

Chissà se Saipem – e l’Italia – diventerà la chiave per riaprire la porta degli accordi fra il vecchio continente e la terra dello ‘Tsar Vlad’: ne beneficerebbero al di là dei nostri termosifoni, il settore energetico, un eccellenza del Made in Italy.

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