Se chiudiamo gli occhi e pensiamo alla Ferrari immediatamente la nostra mente vola su una potentissima vettura rosso fuoco e nella testa rimbomba quell’inconfondibile sound dei 12 cilindri di Maranello definito da Von Karajan come una melodia “che nessun maestro di orchestra sarebbe mai riuscito a riprodurre”. Difficile immaginare la scuderia più longeva e blasonata della Formula 1, eccellenza del made in Italy che accorda con maestria emozione, successo, tradizione e innovazione come un’azienda fragile che lotta con tutte le sue forze per rimanere in testa.
Il documentario Ferrari: race to immortality di Daryl Goodrich presentato alla Festa del cinema di Roma (dal 3 novembre nelle sale britanniche e dal 6 novembre sulle piattaforme digitali) racconta l’alba iconica della Scuderia nel campionato del mondo di Formula 1 e la fatale decade nella storia delle corse automobilistiche: gli anni ‘50. Un decennio incredibile alimentato da adrenalina, glamour e passione. I piloti corteggiati come star del cinema vivevano al limite tra la vita e la morte. Attraverso interviste e immagini di repertorio, Goodrich ricostruisce i trionfi e le tragedie del Cavallino, affrontando le rivalità tra i piloti del team, ma anche gli amori e le amicizie nate a bordo pista, come quella tra le due stelle britanniche Peter Collins, morto nel 1958 durante il Gran Premio di Germania, e Mike Hawthorn, morto l’anno successivo in un incidente stradale. “Non c’e niente di più accattivante per il pubblico che la storia reale non romanzata. E questo è quello che è accaduto davvero” ha commentato il regista.
Figura iconica e burattinaio assoluto tra i capitoli del documentario Enzo Ferrari, (nella foto d’archivio di Pizzi). Un uomo enigmatico e contraddittorio, sempre nascosto dalle lenti scure “per non dare agli altri la sensazione di come sono fatto dentro”. Un talent scout eccellente, costantemente alla ricerca del pilota che lo avrebbe portato alla vittoria e che preferiva alimentare una costante competizione tra i suoi uomini e sconsigliava apertamente i rapporti di amicizia o di qualsiasi altra natura, pur di non perdere la concentrazione. “Un pilota perde un secondo ad ogni figlio che nasce”.
Il Drake viene raccontato da Goodrich come un despota subdolo, disposto a tutto pur di dimostrare la sua supremazia e posizionarsi sul gradino più alto del podio e forse oggi come allora avrebbe detto: “Giù le mani dalla Ferrari, su di me, dite quello che volete”.