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La storia di Jeff Flake è un altro spaccato su Trump (e il trumpismo)

“Dobbiamo smettere di far finta di considerare normale il degrado del nostro governo: è irresponsabile, oltraggioso e indegno. Un pericolo per la nostra democrazia. Ci siamo presi in giro abbastanza pensando che Trump sarebbe diventato un presidente normale e civile. Quando restiamo in silenzio per paura di alienarci la base del partito, portiamo disonore ai nostri principi e dimentichiamo i nostri doveri”. Queste parole sono uno stralcio dal discorso con cui Jeff Flake, senatore del Partito Repubblicano dall’Arizona, ha annunciato questa settimana al Senato di non volersi ricandidare per la corsa verso la riconferma alle mid-term di novembre 2018. Motivo chiaro: Donald Trump, presidente e capo informale del Grand Old Party.

CHI È FLAKE

Flake è un leader del partito: prima è stato deputato, poi senatore, era uno di quelli che aveva davanti a sé tanta altra strada da fare all’interno della politica americana, ma ha rinunciato a percorrerla – per ora – perché detesta Trump (e viceversa). È da tempo uno degli esponenti repubblicani più critici verso il presidente, e questa inimicizia attualmente è anche spinta da un dato numerico. Le possibilità di rielezione di Flake stavano attorno al 20 per cento anche nei sondaggi più generosi, perciò significa che a tutti gli effetti il senatore uscente avrebbe addirittura rischiato di perdere alla primarie interne. Ed è certamente vero che il contesto s’è reso dunque perfetto per attaccare ancora più duramente, e far uscire tutto il rancore e tutte le differenze di visioni, con la Casa Bianca.

PERCHÉ CRITICA TRUMP

La storia è interessante perché l’ormai bruciato Flake scava in uno degli aggettivi che più spesso è stato usato in questi dieci mesi di presidenza Trump: “unfit“, come dicono gli americani, inadatto. Ossia: nel modo di vedere la politica di Flake c’è ampiamente spazio per molte delle posizioni radicali assunte da Trump – per esempio tutti i rollback alle scelte dell’amministrazione Obama – perché Flake è un super-conservatore, e non contesta il presidente per il troppo estremismo. Flake attacca Trump perché lo giudica unfit dal punto di vista umano, come persona, come uomo che, per ragioni caratteriali, comportamentali, eccetera, non è adatto a fare il presidente. Roba che passa sopra – e straccia – qualsiasi punto in comune tra le visioni politiche dei due.

LO SCONTRO CON I SENATORI

Flake è il secondo senatore che nel giro di pochi giorni ha preso questa strada per annunciare pubblicamente la propria uscita. Prima era toccato a Bob Corker, altro elemento di primo piano del Gop, che aveva usato temi e modi del tutto simili centrati sempre sul punto dell’inadeguatezza. Il risultato è che i due sono entrati nei target preferenziali delle invettive via Twitter di Trump, che li insulta e sfotte, portandosi dietro l’elettorato. Perché è questo l’aspetto centrale: chi ha votato Trump ancora non l’ha abbandonato, e questo il partito lo sa, ed è su questo che si basa un patto tacito di moderata belligeranza che durerà fino alle mid term. In molti sposerebbero le visioni di Flake e Corker, ma non lo fanno perché sanno che l’elettorato ancora è piuttosto vicino alla linea Trump – e piuttosto lontano all’establishment del partito. (E l’elettorato prima delle elezioni è l’unica cosa che conta).

IL PIANO BANNON 

Corker, Flake, o John McCain (altro senatore dell’Arizona in cima alla lista dei critici anti-Trump) potranno ricattarlo sui prossimi passaggi politici, per esempio la riforma fiscale – il percorso al Senato passa per soli due voti di vantaggio, e a conti fatti a Trump potrebbero già mancarne tre (e Corker e Flake si potrebbero aggiunger al trio che già non ha votato la riforma sanitaria). Però sappiamo anche che c’è un piano molto trumpiano con cui l’ex stratega Steve Bannon ha dichiarato guerra ai repubblicani e che sta portando avanti coi soldi del super-finanziatore repubblicano (linea molto hard) Bob Mercer per costruire attorno al presidente un partito fit for him, un Gop-bespoke che gli calzi a pennello, ossia che lo segua senza condizioni, e di farlo già sfruttando l’occasione di queste mid term.

QUELLO CHE VUOLE LA GENTE

Al momento, considerando le variabili sul tavolo (preferenze degli elettori, piano di Bannon, contesto politico generale, agenda) le opzioni sono due tra i repubblicani: o si sta con Trump o ci si apre la strada per finire ai margini della scena politica. Un esempio è il caso di Roy Moore in Alabama: il candidato che ha vinto le suppletive era appoggiato da quel piano bannoniano che ha incontrato i voti della gente. Trump ufficialmente non lo aveva sostenuto, mettendosi dietro al senatore uscente molto vicino al centro del partito: alla fine ha vinto il candidato trumpiano, anche se non era formalmente sostenuto dalla Casa Bianca (e Trump ha riso sotto i baffi).

 

 

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