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Ecco le 2 fregature che Matteo Renzi ha rifilato a Massimo D’Alema

Matteo Renzi

Non c’è due senza tre. Vedremo quale sarà la terza fregatura che Matteo Renzi darà, per interposta persona, agli scissionisti di Articolo 1 (che d’ora in poi si chiamerà in articolo mortis). Per la prima il giovane caudillo si è servito di Michele Emiliano, al quale è stato affidato il compito di portare fuori dal Pd D’Alema e i suoi, rientrare all’improvviso e chiudere la porta lasciando gli ex compagni di viaggio a stridere i denti per il freddo. Emiliano, poi, ha reso un altro servizio a Renzi, inventandosi una mozione congressuale per sottrarre voti ad Orlando. La seconda cocente ed inattesa fregatura all’Mdp Renzi gliela data attraverso Giuliano Pisapia, il quale dopo aver cincischiato per mesi con Bersani e D’Alema li ha lasciati a bagnomaria, sostenendo che loro arriveranno a malapena al 3% (sarebbe come se un piazzista, assunto apposta per incrementare le vendite, fosse il primo a screditare il prodotto).

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Mettendo la fiducia sul Rosatellum bis (che non è un vino pregiato) il Governo si è rimangiato la parola, con un sostanziale appoggio del Quirinale. Avere fatto questa scelta alla Camera dove poteva contare su di un’ampia maggioranza (comprensiva di una parte delle opposizioni) è un segnale di enorme debolezza, tanto più che è stato il gruppo del Pd a chiedere al Governo di autorizzare il voto di fiducia. È improbabile che nel voto finale a scrutinio segreto ci siano tanti “franchi tiratori” da determinare la mancata approvazione della legge. C’è poi il passaggio del Senato più insidioso nei numeri, anche se il regolamento consente un minor ricorso al voto segreto. Il problema però è un altro. Per cinquant’anni gli italiani sono andati a votare che le medesime regole che, peraltro, valevano in ogni tipo di consultazione tanto nazionale che locale. Nella c.d. seconda Repubblica vi sono leggi elettorali differenti per gli enti locali, le Regioni, il Parlamento europeo, la Camera e il Senato. Persino per i consigli di quartiere. Ciò che grida vendetta e ci mette al livello di una Repubblica delle banane è la continua ed inveterata modifica delle leggi per l’elezione del Parlamento. Viene meno così una fondamentale certezza del diritto. E soprattutto si usano le regole comuni per i propri interessi.

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Sto leggendo con un colpevole ritardo (perché certi libri bisognerebbe leggerli da giovani) “La banalità del male” di Hanna Arendt, il libro che, nel 1964, partendo dal racconto del processo Eichmann a Gerusalemme, denunciava la tragedia della Shoah e gli orrori del Nazismo. Mi ha fatto riflettere un brano, a pagina 116 dell’edizione Feltrinelli, che riproduco: “Le prime camere a gas furono costruite nel 1939, in ottemperanza al decreto di Hitler, del 1° settembre di quell’anno, secondo cui alle “persone incurabili” doveva “essere concessa una morte pietosa”. Il decreto – prosegue Arendt – entrò subito in vigore per i malati di mente e così tra il dicembre del 1939 e l’agosto dei 1941 circa cinquantamila tedeschi furono uccisi con monossido di carbonio all’interno di camere a gas attrezzate negli istituti in cui le povere vittime erano ricoverate. Insomma, i nazisti la prova generale la fecero con i loro compatrioti, col pretesto di “concedere una morte pietosa in modo umanitario”. La lettura di queste pagine mi ha posto un dubbio: i concetti di eutanasia, “morte pietosa”, “persone incurabili” non vengono ribaditi anche oggi come addirittura diritti di libertà? Si può replicare che nei progetti “democratici” di eutanasia si parte dalla libera scelta delle persona, mentre i malati di mente tedeschi venivano in pratica assassinati. È vero. Ma come la mettiamo quando si stacca la spina ad una persona in stato vegetativo della quale si pretende di interpretare una volontà che non riesce ad essere espressa? Le questioni di principio sono molto delicate. Per vanificarne il significato non sono necessari milioni di morti. Il vulnus inferto alla natura umana è presente anche in un singolo caso.



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