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Tutte le autocritiche a sorpresa dei giudici (europei)

“I giudici non sono Dio, devono sempre essere consci dei propri limiti. Capita che questi possano essere preda di narcisismo o altri vizi, e tuttavia ci saranno sempre casi in cui il giudice sarà accusato di aver straripato il limite della sua funzione, andando oltre l’interpretazione della legge e imponendo il suo arbitrio personale”. È quanto affermato dal giudice della Corte di Giustizia dell’Unione Europea Anthony Borg Barthet nel corso del convegno nazionale del Centro studi Livatino, quest’anno sul tema “Giudici senza limiti?”, che si è svolto il 20 ottobre a Roma, presso l’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari della Camera dei deputati.

L’INTERVENTO DEL GIUDICE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA BORG BARTHET

“Capita anche con la nostra corte”, ha proseguito Borg Barthet. “Ma questo perché abbiamo il compito e il dovere di dare una interpretazione del diritto europeo che sia valida e che possa essere seguita da tutti gli stati membri”. E “le accuse di attivismo giudiziario che va oltre il lecito, assumendo il ruolo di un legislatore che procede lentamente, certamente non mi lusingano”, ha affermato Borg Barthet: “Noi non siamo tenuti a rispondere agli elettori”, e “non possiamo andare al di fuori dei trattati, perché siamo nati e ci regoliamo dagli stessi”. Concetti che a detta dei relatori non corrispondono solo al caso italiano, per il quale il Centro studi Livatino non ha risparmiato critiche, ma anche al contesto europeo e internazionale. O spesso proprio in relazione a questa confusione del diritto nazionale, nata con il costante appellarsi agli organi di carattere sovranazionale.

BORG BARTHET: “DAI TRATTATI EUROPEI È NATO UN MOSTRO INCONTROLLABILE. E ALCUNI GIUDICI VORREBBERO RENDERE IL MONDO PERFETTO”

“Dal seguito dei trattati europei si è fatto come il dr. Frankestein, creando un mostro che ha una vita propria e che non sono più in grado di controllare”, ha proseguito il giudice maltese. La causa da cui si originano tutte queste anomalie è ben definita: che cioè “molte volte c’è una carenza di norme che congiungano i trattati alla specificità del caso in esame”. In questo “il giudice europeo deve capire quali sono i fili che li uniscono, senza una adeguata segnaletica da seguire: spesso si arriva ad accordi generalissimi sulle norme e resta alla Corte di riempire tutti i buchi”. Allora i giudici devono stare accorti nell’essere pragmatici “e non andare oltre il caso stesso”. Mentre invece “ci sono quelli che vorrebbero che il mondo fosse perfetto dopo la propria sentenza, risolvendo tutto quello che c’è tra l’alfa e l’omega senza sapere cosa c’è in mezzo”, ha affermato caustico Borg Barthet. “Bisogna invece lasciare il proprio ego fuori dalla causa, non peccare di narcisismo straripando i limiti e pensando di dover prendere il posto del legislatore, perché ci si crede più bravi o perché si vorrebbe diventare famosi”, e “non ci si deve preoccupare se il giudizio di una sentenza sia popolare o meno”.

LE PAROLE DELL’EX GIUDICE DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO BORREGO BORREGO

Per capire come è stato possibile arrivare a questo punto, è necessario tornare indietro, fin dall’origine. “Nel ’53 a Roma la Cedu è stata firmata nella contezza di avere la stessa concezione dei diritti umani”, anche su “matrimonio e di diritto alla vita”, ha infatti spiegato Francisco Javier Borrego Borrego, ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. Questo però è accaduto solo in teoria, perché la pratica, ha proseguito lo spagnolo, “è che, da quando Hamilton nel The federalist denunciava la situazione dei giudici attivisti, oggi la condizione è addirittura peggiorata: dall’attivismo si è passati alla creatività giudiziaria, giustificandola dicendo che i giudici praticano una interpretazione dinamica”. Ma “la nostra deve essere solo interpretazione”, ha chiosato: “Se cominciamo ad aggiungere aggettivi lo possiamo fare all’infinito. Come accade con i dittatori: Franco parlava di democrazia organica, Maduro parla di democrazia popolare. Ma si deve parlare di democrazia e basta, senza aggettivi”.

BORREGO BORREGO: “SI FA SEMPRE PIÙ RIFERIMENTO ALLA VITA PRIVATA E CI SI DIMENTICA DEI DIRITTI FONDAMENTALI”

Se la Cedu a infatti è “ciò che i giudici affermano che sia, sarà pure la migliore interpretazione dinamica data, ma non somiglia assolutamente al punto di partenza”, ha aggiunto. Citando, in seguito, il caso che si è venuto a delineare per la Grecia, condannata per violazione della convenzione sul tema del matrimonio tra lo stesso sesso considerando l’art. 8 per il diritto alla vita privata ma senza considerare l’art. 12 sul matrimonio: “Stiamo interpretando sempre più cose in Europa sulla base di questo articolo 8. Ci si appoggia cioè sui diritti umani periferici piuttosto che su quelli di tipo centrale”. Così, ciò che accade è che “ultimamente la corte di Strasburgo ignora i diritti fondamentali, come alla vita o al matrimonio, ma fa il giro, parlando del diritto alla vita privata e introducendo il questo modo il diritto al matrimonio omosessuale o all’aborto”.

IL COMMENTO DELL’EX PRESIDENTE DEI PROCURATORI EUROPEI ANTONIO MURA

Guardando poi alla situazione politica ben ci si accorge che, ha spiegato l’ex presidente del Consiglio consultivo dei Procuratori europei Antonio Mura (nella foto), “siamo in una contingenza di evidente crisi dell’Europa: Brexit, migranti, politiche comuni. Anche della Corte europea dei diritti dell’uomo? Forse sì”, in quanto “c’è una difficoltà nello strumento del ricorso alla Corte”. Basta vedere tutte le volte che non sono stati accettati i ricorsi della Turchia. “Penso poi a tante situazioni differenti”, ha spiegato Mura, “come gli strumenti del rimpatrio dei carcerati, per cui l’Italia si è battuta molto visto anche il sovraffollamento carcerario o il terrorismo”. Ma anche sul versante esterno, nella ricerca di soluzione a problemi come “terrorismo, traffico di esseri umani”. Ma soprattutto “alla sempre maggiore incisività delle due corti sovranazionali nell’ordinamento interno del nostro Paese”.

MURA: “ESISTE UN PROFILO DI P.M. EUROPEO? SÌ. È TRASPARENTE E IMPARZIALE”

C’è infatti, in conclusione, la difficoltà, ha spiegato Mura, di “raggiungere consenso su un’idea comune di pubblico ministero europeo, che deriva anche dalla gelosia classica connaturata agli Stati ma soprattutto da una miriade di varietà di fisionomie diverse dello stesso nel panorama europeo”. In tutto questo, può quindi esistere un concetto comune a livello europeo “che ci consenta di riferisci a quest’organo rispetto al pericolo di interpretazioni radicalmente creative?”, ha chiesto Mura. “La risposta per me è sì, ed è legato a un profilo ben definito. Che ponga cioè l’esigenza di trasparenza, comprensibilità e accountability. Poi imparzialità e fairness, correttezza”. Che è in sostanza soprattutto legato a una “eticità” complessiva, “per un organo che sia riferito, all’insieme del suo agire, in tutta questa vasta gamma di poteri e di competenze”. Ad essere imparziale, infatti, ha concluso Mura, “sta al giudice ma anche al pubblico ministero”, e “secondo la modalità della legge, non di valori soggettivi”.



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