Il negoziato sulla Brexit figura al Consiglio europeo di Bruxelles, oggi e domani, 19 e 20 ottobre: e il caso nord-irlandese è probabilmente una buona cartina di tornasole per capire le difficoltà che sta incontrando. Il nuovo confine terrestre che si prefigura tra Unione europea e Regno Unito in terra irlandese è uno dei capitoli dei round negoziali guidati da Michel Barnier (in foto) per l’Unione europea e da David Davis per il Regno Unito.
DOPO LA BREXIT, LE TENSIONI SONO GIÀ IN ATTO
Il governo regionale nord-irlandese era andato in crisi il 10 gennaio 2017 con le dimissioni del vice primo ministro Martin McGuinness, del Sinn Fein. In un’impasse politica dura ormai da nove mesi, si è fatto persino avanti Bill Clinton – che fu protagonista del processo di pace di fine anni Novanta. Ha incontrato martedì scorso i leader del Democratic Unionist Party (DUP), Arlene Foster, e del Sinn Féin, Michelle O’Neill, e vedrà la stessa Theresa May, nei prossimi giorni, dopo il Consiglio europeo.
Il 17 gennaio 2017, Theresa May aveva confermato la volontà di mantenere l’Accordo del Venerdì Santo del 1998 (che sancì la pace) e lo spazio comune di viaggio (Common Travel Area), una specie di Schengen bilaterale, con controlli assenti o ridotti alle frontiere per la circolazione delle persone. Aveva anche dichiarato che con la Brexit si sarebbe trovata una soluzione pratica che permettesse di non tornare alle frontiere del passato, e senza intaccare la Common Travel Area.
Era infatti difficile tornare indietro: l’abbassamento delle frontiere degli anni Novanta aveva favorito lo sviluppo del processo di pace. Le libertà di movimento che venivano dall’Atto unico europeo erano diventate concrete, e avevano stemperato molte delle ragioni del conflitto.
UNA FRONTIERA DA INVENTARE
Tuttavia, con la Brexit le cose cambiano, soprattutto per la circolazione delle merci. L’uscita dal mercato unico fa intravvedere una diversità di prodotti e di regole, che richiederanno inevitabilmente dei controlli, che a loro volta implicheranno una frontiera anche per le persone.
Il punto diventa quindi decidere dove mettere questa frontiera. Il Regno Unito intende “evitare un ritorno” a una frontiera vecchio stile al confine terrestre nord-irlandese, cosciente degli effetti positivi che la libera circolazione ha sulla stabilità dell’area. D’altra parte è cosciente che i controlli sulle merci andranno fatti, ma esclude che avere una frontiera aperta in Irlanda possa comportare una frontiera doganale tra Irlanda del Nord e Gran Bretagna.
Theresa May auspica allora “soluzioni flessibili e creative”, cioè una sorta di protezione degli scambi quotidiani frontalieri, che sarebbe tuttavia in contrasto con l’esistenza di due distinti mercati, tra Regno Unito e Unione europea: da qui l’impasse. Oltre a quelli dell’Unione e dell’Irlanda, ne parlano due documenti britannici: uno sulle dogane (Future Custom Arrangements) e quello di posizionamento su Irlanda e Irlanda del Nord.
Per quanto ardite possano essere le soluzioni da portare nei negoziati, da qualche parte i controlli sugli scambi andranno fatti. Michel Barnier, il 7 settembre, si era detto non a caso inquieto per le proposte britanniche, che immaginavano disapplicazioni legislative dell’Unione europea in Irlanda.
Il nodo dell’incomprensione è quindi arrivato intatto al Consiglio europeo di questi due giorni.