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Il Nobel della Pace all’Ican è un premio al lobbismo trasparente

“Per il suo ruolo nel fare luce sulle catastrofiche conseguenze di un qualsiasi utilizzo di armi atomiche e per i suoi sforzi innovativi per arrivare ad un Trattato che le proibisca”. Sono queste le motivazioni con cui la commissione ha assegnato il premio Nobel per la pace all’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons, Ican.

Beatrice Fihn, che ne è direttore esecutivo, ha consolidato un’alleanza di oltre 460 Ong distribuite in più di cento Paesi nel mondo che si batte da circa dieci anni per l’abolizione delle armi atomiche. È stato grazie alle costanti pressioni dell’Ican se, lo scorso luglio, si è concluso il negoziato per la ratifica del Trattato al quale hanno partecipato oltre 135 Stati. Ad oggi, solo tre Paesi lo hanno ratificato e per rendere il Trattato vincolante occorrerà la firma di almeno cinquantatre Paesi. L’Italia, che ospita diversi ordigni, non lo ha ancora ratificato, purtroppo. Siamo, quindi, lontani e non di poco dall’obiettivo.

Il premio all’Ican è quindi un evidente segnale politico che l’Accademia svedese ha voluto dare al mondo e, in particolare, a Corea del Nord, Iran, Usa e Cina che non hanno neppure aderito al Trattato. D’altronde la Fihn è una che non le manda a dire e, in un recente tweet, si è detta d’accordo sul fatto che il presidente Usa fosse un moron (trad. deficiente). Di là dalla cronaca, quello colpisce è il fatto che, negli ultimi anni, molte organizzazioni siano capaci di incidere nei processi decisionali molto più efficacemente della politica e delle istituzioni, che spesso si trova solo a dover ratificare in atti una volontà già ampiamente consolidata. Ricordo che vent’anni fa il Nobel per la pace fu assegnato ad un’organizzazione americana la International Campaign to Ban Landmines Icbl, che si era battuta per mettere al bando le mine antiuomo; anche a capo della Ibcl c’era una donna molto combattiva Jody Williams.

I gruppi di pressione monotematici, cosiddetti issue groups, costituiscono un modo efficace per diffondere maggiore sensibilità e far pressione sulle istituzioni affinché affrontino e possibilmente risolvano specifici problemi. La loro efficacia dipende da una serie di fattori, tra i principali vi è la capacità di creare consenso con una molteplicità di strumenti (activation tools) quali: rapporti, video documentari, utilizzo di testimonial o campagne sui social media. Queste organizzazioni hanno anche capito che le pressioni dal basso attraverso l’incremento del numero ma soprattutto della “qualità” dei propri sostenitori e finanziatori producono un formidabile “effetto leva” e amplificano la capacità d’influenza. Si tratta di un attivismo civico su scala globale con l’utilizzo di supporter proveniente dal mondo del cinema, dello sport, dell’università o della letteratura. Basti pensare che uno dei primi e più rappresentativi testimonial dell’Ican fu nel 2007 il sindaco di Hiroshima che, a sua volta, era a capo del network di sindaci Mayor for Peace. L’effetto dell’azione di questi gruppi d’interesse ricorda quello del sasso gettato nello stagno che a sua volta produce tante e più onde concentriche quanto più è efficace e organizzato il contenuto del messaggio.

È il lobbismo responsabile i cui effetti positivi nelle società sono riconosciuti anche dal Global Compact delle Nazioni Unite. È un lobbismo trasparente che cerca di migliorare la società, che prova a far coincidere l’interesse generale con quello particolare. Che non è né filo né antigovernativo ma è solo e dichiaratamente di parte perché convinto di stare dalla parte, non giusta, ma certamente migliore.


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