Noi siamo pronti ad esercitare un ruolo di mediazione utile al rilancio produttivo ed occupazionale del gruppo Ilva, ma è necessario che si apra un confronto tra noi e l’azienda improntato su posizioni paritarie e sul reciproco rispetto.
L’INCONTRO AL MISE DEL 9 OTTOBRE
Il 9 ottobre presso il dicastero dello Sviluppo economico abbiamo apprezzato la posizione del governo che ha respinto la proposta del management di Am Investco su salario ed inquadramento. Una posizione che il ministro Carlo Calenda ha bollato come irricevibile, mentre noi, già precedentemente avevamo bollato come inaccettabile. L’esecutivo, però, ha stigmatizzato il passo indietro del gruppo suddetto relativo a retribuzioni e scatti di anzianità acquisiti che facevano parte degli impegni acquisiti in precedenza dalla proprietà.
LA QUESTIONE DEGLI ESUBERI
Come sindacato, invece, abbiamo sottolineato l’iniquità del piano aziendale relativo agli esuberi annunciati. L’acquirente Am Investco (controllata dal gruppo franco-indiano ArcelorMittal), ha confermato i 4.200 esuberi programmati, di cui 3.300 solo nel sito di Taranto. Per amor di verità anche dal governo si solo levate voci in questo senso rivolte ad assicurare un impegno “per diminuire il numero degli esuberi”. Lo abbiamo detto e ripetuto più volte: noi non abbiamo concordato alcun esubero; anzi, siamo convinti che il rilancio dello stabilimento nel capoluogo ionico possa portare nuove assunzioni.
L’AZIONE DISTENSIVA DI MITTAL
Aditya Mittal, direttore finanziario e responsabile Europa di ArcelorMittal, azionista all’85% di Am Investco, ci ha lanciato un messaggio distensivo annunciando di voler trovare trovare una soluzione insieme a governo, istituzioni locali e sindacati per un futuro sostenibile di Ilva.
ROVESCIARE IL PARADIGMA DEL PIANO
Per quanto ci riguarda occorre rovesciare il paradigma impostato: il fattore industriale di prospettiva deve prevalere su quello meramente ragionieristico. Quindi, no a condizioni peggiorative per i lavoratori relative a retribuzioni e scatti di anzianità acquisiti, ma no soprattutto agli esuberi. Basti considerare, per esempio, la situazione attuale di Taranto relativa agli organici: qui su 10.977 addetti, 2.796 appartengono all’area servizi e 1.693 all’area manutenzione. Solo per far ripartire gli impianti del sito siderurgico saranno necessarie ulteriori unità professionali per rinforzare queste due aree. Gli assetti occupazionali previsti per Taranto hanno come punto di riferimento, per quanto riguarda la produzione, quanto stabilito nel decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre scorso, pubblicato in Gazzetta ufficiale del 30 settembre. All’articolo 2 di quel decreto si stabilisce che la produzione dello stabilimento dell’Ilva di Taranto non potrà superare i sei milioni di tonnellate all’anno di acciaio fino al completamento di tutti gli interventi previsti per l’Aia, la cui scadenza è fissata al 23 agosto 2023. Am Investco si impegnerebbe a raggiungere la soglia dei 6 milioni di tonnellate di acciaio liquido entro il 2018 e a mantenere tale livello sino alla completa implementazione del piano ambientale alla data del 23 agosto 2023. Entro il 2020 si giungerebbe a 8,5 milioni di tonnellate di spedizione di prodotti finiti con la lavorazione di bramme provenienti da altri siti di Arcelor Mittal.
UNA LEGGE SPECIALE PER TARANTO
Da tempo sosteniamo che la data fissata per il completamento dell’Aia è troppo lontana e si potrebbe anticipare almeno di un triennio. E, poi, si potrebbe mantenere intatta la capacità produttiva del sito pugliese, anziché, come prevede il piano di Am Investco, imputargli l’importazione di bramme dall’esterno. Si tratta di ipotesi che potrebbero essere utili ad evitare la riduzione di organici, oltre a ridurre il rischio di perdita della capacità retributiva e dei diritti acquisiti di chi lavora in Ilva. In un’intervista al Corriere della Sera ho aggiunto un ulteriore elemento propositivo. Per gli esuberi, poi, si possono trovare altre soluzioni, fra cui i prepensionamenti coi benefici della cosiddetta “legge amianto”, considerando proprio che le bonifiche non sono state ancora fatte. Al quotidiano milanese di via Solferino ho anche sottolineato che sono inaccettabili la riconversione dei contratti col Jobs act e azzeramento dell’anzianità per i 10mila dipendenti rimanenti. I diritti acquisiti non si toccano, dall’art. 18 agli scatti. Non molleremo di un millimetro. Senza l’accordo con i sindacati la cessione non si formalizzerà. E l’accordo passa per il mantenimento dell’articolo che tutela i lavoratori dai licenziamenti discriminatori. La prima discriminazione si avrebbe nei riguardi dei 4000 esuberi: il dentro o fuori spetterebbe alla società, e questo è inaccettabile. Inoltre, riguardo ai 10000 riassunti, chi si dovesse rifiutare di effettuare operazioni pericolose, e in siderurgia ci sono, sarebbe licenziabile. Nella migliore delle ipotesi aumenterebbero i licenziamenti. Nella peggiore, gli infortuni e le morti sul lavoro”.
ORA LE AUDIZIONI PARLAMENTARI
Per quanto ci compete abbiamo attivato incontri a livello locale con le istituzioni per un coinvolgimento rispetto alle ricadute industriali e occupazionali che la vertenza potrebbe avere e nello stesso tempo ribadire gli impegni assunti tra i quali l’accordo di programma sottoscritto per la realtà di Genova. Inoltre, stiamo calendarizzando delle specifiche audizioni presso le Commissioni Lavoro ed Attività produttive della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Tutto questo in attesa di risiedere al tavolo di confronto con Am Investco. Non esiste altra prospettiva che trattare per trovare un equo accordo sindacale con la controparte, ma bisogna partire da presupposti coerenti e senza pregiudizi tra le parti. Il tavolo convocato lo scorso 9 ottobre era impraticabile. La trattativa non si è ancora avviata. Riteniamo che lo sarà presto e bisognerà farla procedere sui binari giusti. Il sindacato c’è e come sempre mantiene la posizione.