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Ecco come Isis ha rivendidato la strage a Las Vegas

Un lancio della sedicente agenzia stampa Amaq News, organo di propaganda integrato nel sistema media del Califfato, ha rivendicato l’attentato terroristico in cui nella serata di domenica sono state uccise almeno 58 persone (oltre 400 i feriti) a Las Vegas.

Amaq annuncia che l’attentatore, che le autorità hanno individuato in Stephen Paddock, un sessantaquattrenne residente a Mesquite, pochi chilometri fuori LV – uccisosi appena dopo il gesto –, era “un soldato dello Stato islamico” che ha agito in risposta alla chiamata di “colpire  gli stati membri della Coalizione”. È la formula classica con cui sono stati rivendicati decine di attentati, e fa riferimento alla Coalizione internazionale a guida americana che conduce la battaglia campale contro l’organizzazione di Abu Bakr al Baghdadi tra Siria e Iraq.

Non ci sono, al momento, elementi ufficiali che possano collegare l’attentatore di Las Vegas alla giunta militarista califfale e alle sue enormi radicazioni internazionali: la polizia non ha mai fatto riferimento a questi aspetti, per ora, sebbene lo sceriffo del corpo metropolitano avesse già stamattina parlato di un “lupo solitario”, con una formula semantica comunemente usata per questo genere di attacchi.

In una seconda battuta, Amaq ha spiegato che Paddock si era convertito all’Islam pochi mesi fa e radicalizzatosi molto velocemente, e questa potrebbe essere la spiegazione del perché su di lui non ci sono segnalazioni per attività estremista (questione: però, come faceva l’IS a saperlo? Forse l’attentatore era in contatto con qualcuno dei corpi intermedi che fanno da ponte tra gli organismi centrali del Califfato e i tanti attentatori ispirati all’esterno?).

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha tenuto un discorso alla nazione molto presidenziale, ha definito l’attacco di Las Vegas “un atto di pura malvagia”, e non ha menzionato la rivendicazione dello Stato islamico. Associated Press scrive che anche l’Fbi per il momento ha dichiarato che Paddock non aveva collegamenti con le sigle del terrorismo internazionale.

Da quando tre giorni il Califfo Baghdadi è tornato a parlare, smentendo a suon di riferimenti sull’attualità (per esempio: nell’audio il Califfo parla della “minaccia nucleare della Corea del Nord al Giappone”, datata non prima di fine agosto 2017) le dichiarazioni del ministero della Difesa russo che a inizio estate diceva di averlo ucciso, questo di Las Vegas è il terzo attentato rivendicato dal suo gruppo in Occidente.

Domenica prima ottobre, all’ora di pranzo, un uomo ha accoltellato e ucciso due donne alla stazione Saint-Charles di Marsiglia. L’attentatore era una “Fiche S”, ossia il più alto livello di minaccia per la sicurezza nazionale con cui la polizia francese scheda i sospettati, ed in cui rientrano coloro per cui si pensa sia in corso una radicalizzazione islamica. Qualche ora dopo l’attacco Amaq aveva definito l’aggressore “un soldato dello Stato islamico”, come da formula rituale:  il ministro dell’Interno francese Gérard Collomb ha parlato della possibilità che fosse un atto terroristico, ma non si sentiva di darne la certezza.

Sabato sera un 30enne somalo che viveva in Canada come rifugiato ha prima accoltellato un poliziotto a Edmonton, poi, scoperto e inseguito dalla polizia qualche ora più tardi (nonostante avesse cambiato vettura), ha investito deliberatamente quattro persone a un incrocio. Una volta raggiunto dalla polizia è stato arrestato: in uno dei due veicoli usati è stata ritrovata una bandiera dello Stato islamico. Le autorità canadesi intendono formalizzare l’accusa di terrorismo islamico ai danni dell’uomo, anche se — nonostante l’evidenza della bandiera — l’IS non ha rivendicato l’azione.

Amaq e il Califfo sono alla prova “fake news”: il fact-checking richiesto all’agenzia dello Stato islamico è cruciale per il gruppo stesso. A questo punto è chiaro che Amaq si sia esposta molto rivendicando così velocemente la strage di Las Vegas (una delle più grosse in termini di contabilità che ha colpito gli Stati Uniti negli ultimi anni), dunque, dato che l’organizzazione solitamente non si intesta attentati che l’IS non ha commesso (o quanto meno ispirato, per quanto possa esserci differenza), ci si aspetta che nel giro di pochi giorni vengano diffuse le prove della rivendicazioni; potrebbe esserci anche soltanto un messaggio con cui l’attentatore dichiara di aver compiuto l’attacco dedicandolo al Califfo. È una questione esistenziale per lo Stato islamico: il magnete del proselitismo funziona davanti a gesti eclatanti, che però devono essere reali, altrimenti la fascinazione crolla e il gruppo perde contatto con gli adepti.

 

 

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